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Giustizia

Intervista Michele Vietti: “Evitare slogan e drammatizzazioni sul referendum sulla giustizia”

di Giuseppe Ariola -


“Vedo in questa riforma della giustizia luci e ombre, ne apprezzo alcuni aspetti, ma sono scettico rispetto ad altri. Anzitutto va detto che non è un toccasana con il quale si risolvono tutte le questioni del cattivo funzionamento del sistema giudiziario. Qui stiamo parlando di una riforma che riguarda la magistratura nel suo assetto ordinamentale e nel suo organo di governo autonomo. Non stiamo riformando la giustizia, perché il sistema giudiziario più o meno continuerà a funzionare come prima. Su questo dobbiamo essere chiari, perché altrimenti attribuiamo un significato di palingenesi alla riforma. Così come bisogna essere onesti nel non trasformare il giudizio sulla riforma in tifo da stadio”. E’ questa la posizione di Michele Vietti, che è stato due volte componente laico del Csm, nel 1998 e poi nel 2010, quando ne è stato vicepresidente.

A proposito del tifo da stadio, il dibattito non è a tratti eccessivo?

“Purtroppo è chiaro che il referendum ha un effetto polarizzante, è inevitabile. Dovremmo però approfittare di questi mesi per cercare di fare un ragionamento pacato, lucido, che esamini in modo razionale i pro e i contro. Evitiamo le drammatizzazioni e gli slogan come quelli che vorrebbero la democrazia a rischio o il pubblico ministero assoggettato all’esecutivo”.

Quale è a suo avviso il cuore della riforma?

“La scelta di fondo della riforma è quella di separare le carriere di giudice e pubblico ministero. Su questo io sono d’accordo, pur essendo stato scettico in passato. Alla luce di quello che è successo negli ultimi decenni, mi sono però convinto che occorra allineare il ruolo del pubblico ministero da un lato al processo accusatorio e, dall’altro, all’articolo 111 della Costituzione come modificato nel ‘99. Dobbiamo separare i destini del pubblico ministero da quelli del giudice, perché alla luce dei nuovi principi costituzionali e del nuovo processo queste due figure non possono più andare a braccetto. Non è solo un problema di competenze distinte. Il sistema esige una sorta di inimicizia fisiologica tra il giudice e il pubblico ministero, che consenta una dialettica autentica incompatibile con la contiguità organica. Stiamo parlando di funzioni inconciliabili. Il giudice è terzo e imparziale, il pubblico ministero è una parte; il giudice è soggetto soltanto alla legge, il pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale, peraltro obbligatoria, ha dei margini evidenti di discrezionalità; il giudice sovraintende al contraddittorio, il pubblico ministero ne è parte. Quindi, queste due figure devono viaggiare su binari distinti, come peraltro viaggia l’avvocatura su un binario distinto rispetto al giudice e al pubblico ministero. Altrimenti si produce un deficit di terzietà perché in qualche modo l’ideologia della repressione, che anima giustamente il pubblico ministero, rischia di contagiare anche il giudice”.

Cosa, invece, non la convince della riforma della giustizia?

“Le ombre che vedo io sono anzitutto i due Consigli Superiori della magistratura. Francamente avrei preferito due sezioni all’interno dello stesso Consiglio. Perché a me preoccupa che questo Csm dei pubblici ministeri alla fine prenda una deriva autoreferenziale e diventi un boomerang rispetto agli intenti della riforma. Che finisca, cioè, per rafforzare il potere del pubblico ministero che non è più dentro un unico organo di governo insieme ai giudici e ai laici, ma sta in uno in cui rappresenta la maggioranza. Non è nemmeno sotto il potere dell’esecutivo, perché questa è una bestemmia che non si può dire, quindi dove va? A chi risponde? Questo è un profilo che suscita qualche preoccupazione”.

Come valuta il sorteggio come modalità di composizione del Csm?

“Mi lascia perplesso. Rischia di non valorizzare esperienza, competenza e attitudine, tutte qualità che a mio parere servono per fare il Consigliere superiore. Io sono l’unico caso di un laico che è tornato due volte al Csm e so che per fare il Consigliere superiore non basta aver vinto un concorso da magistrato, perché ci sono magistrati ottimi a fare il loro lavoro, ma che non hanno vocazione all’attività amministrativa e di governo”.

L’attuale sistema, invece, che pure ha delle pecche, garantisce di più il merito?

“Con tutti i loro difetti, le correnti un po’ di selezione l’hanno fatta. Se io avvocato concorro all’elezione del mio consiglio dell’ordine, per prendere i voti dei miei colleghi un minimo di stima devo averla, altrimenti non mi vota nessuno. Lo stesso vale per i magistrati. E cosa direbbero gli avvocati se gli proponessimo di estrarre a sorte i loro rappresentanti? Inoltre il 90% dei magistrati sono iscritti all’Anm. Il giorno dopo che un componente del Csm è stato estratto a sorte cosa farà? Si coalizzerà con quelli della sua stessa corrente. Gli estratti a sorte sono marziani”.

Insomma, il suo Sì alla riforma è più che altro per la separazione delle carriere.

“Direi di si. Poi spero che le leggi attuative possano attenuarne le criticità”.


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