Politica

Fidati di Mes. La scelta di Meloni, lo scontro in maggioranza

di Giovanni Vasso -

GIORGIA MELONI PREMIER


Fidati di Mes. Ce lo chiede l’Europa, tanto per cambiare. Stavolta, sembrerebbe, in cambio dell’ormai mitologica terza rata del Pnrr. Per il governo sono giorni pensosi. Davanti alla maggioranza c’è un bivio. Da una parte, scegliere di ratificare il Meccanismo europeo di Stabilità, deludendo così gli elettori. Dall’altra, proseguire a far finta di nulla, deludendo così la Commissione Ue. Non si può piacere a tutti. Una scelta va fatta. E ben ponderata. Perché, in entrambi i casi, ci sono rischi che Palazzo Chigi deve assumere su di sé. Uno su tutti: la fine, definitiva, della lunghissima luna di miele elettorale di Giorgia Meloni. La scelta è solo sua.
Il centrodestra non è per nulla unito sulla questione. In fondo, non lo è davvero nemmeno il governo. Ci sono divisioni, questo sì. Anche sanguinose. Ma non è su questo che si valuta o si mette in gioco la tenuta dell’esecutivo. Come ha spiegato Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato della Lega, a Un Giorno da Pecora su Radio1, “non cade nessun governo sul Mes, sarebbe una follia”. Messo alle strette, Romeo “scarica” tutto su Giorgia Meloni. “Darà la linea del governo, noi non lo metteremo mai in difficoltà”, spiega e puntualizza: “noi siamo sempre stati contrari e arrivare in Parlamento a dire sì al Mes diventa complicato”. In casa Lega, però, non sono tutti contro l’eventuale ratifica del Mes. Giorgetti non è solo. Anzi. Trova una sponda potente nel governatore del Friuli, Massimiliano Fedriga, che a La Stampa invita a un distinguo: “Ratificarlo non è usarlo”. Un argomento nemmeno troppo nuovo ma, sicuramente, efficace: “Non ideologizziamo. Ora è il momento della valutazione politica, che farà il Parlamento. È importante fare una distinzione: ratificare la riforma del Mes non significa utilizzare il Mes, non sono la stessa cosa”. E Meloni, da Bruno Vespa, giurò (col sangue) che il suo governo non avrebbe mai utilizzato, non ratificato il Mes.
In Fratelli d’Italia, però, c’è attesa. Si tenta di capire quale sarà la posizione ufficiale. E si provano a immaginare gli scenari. Nella base del partito c’è tensione. Si teme un tracollo nei sondaggi, il ritorno prepotente della polemica anti Ue che il M5s è già pronto a brandire contro il partito che ne ha fatto l’arma vincente nelle ultime elezioni. Giuseppe Conte, non potendo abbracciare sic et simpliciter la causa del “no” anche perché è stato il suo secondo governo, nel 2020, a propugnare l’ok alla riforma del Mes, colloca il Movimento sulle barricate dell’astensione e non aspetta altro che “vendicarsi” dei flash mob che, qualche anno fa, Fdi gli organizzò contro. Anche in Parlamento. Intanto, a diradare le nebbie, arrivano le parole del ministro ai rapporti Ue, Raffaele Fitto, che non chiude al Mes ma lo “blinda” a due altri (grandi) temi della politica comunitaria. “La questione si risolve inserendola in uno scenario ampio con il completamento dell’unione bancaria e ritorno del patto di stabilità se vogliamo fare un dibattito serio”, ha spiegato al convegno di Rapallo dei giovani di Confindustria: “Immaginiamo che la discussione con la tempistica prevista debba essere quella che il parlamento svilupperà nella sua autonomia fra le diverse forze politiche”. Quindi ha aggiunto: “La necessità oggi è che la chiusura del cerchio tenga insieme anche il tema dell’unione bancaria e del patto di stabilità. Sono elemento decisivi per il futuro del nostro Paese che ha delle peculiarità perché il debito pubblico italiano, come è noto, non è elemento che ci consente di fare delle comparazioni con altri Paesi”. Insomma, se l’Ue chiede, in cambio dovrà dare qualcosa di più.
In casa Forza Italia, invece, l’argomento Mes non è un tabù. Anzi. Tutti sono convinti che, prima o poi, l’Italia dovrà pur ratificare la sua adesione al fondo Salva Stati. Ma l’occasione è ghiotta per ribadire la propria centralità. Tanto a Montecitorio e a Palazzo Madama quanto a Bruxelles. Giorgio Mulé, ai microfoni di Radio 1, sgancia la bomba: “Sarà ratificato, dubito entro il 30 giugno però, più probabile che avvenga a fine settembre. In Parlamento ora ci sono sei o sette decreti che devono esser approvati prima di agosto”. Insomma, ci aspetterebbe un’estate di dolenti dibattiti dall’esito già segnato. Chi spinge per la ratifica è (anche) Maurizio Lupi che, però confida nella capacità della maggioranza di “trovare una sintesi”. Insomma, la scelta è nelle mani della presidente del consiglio. Sarà lei a decidere, per la prima volta da quando s’è insediata, se deludere quella parte (consistente) del 30% degli elettori che continua ad avere fiducia in lei, o se dare un dispiacere alla Commissione Ue.


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