Cronaca

Fragole e champagne

di Rita Cavallaro -


Rosalia Messina Denaro: era lei la vera donna del boss, la persona di massima fiducia del capo dei capi, colei che negli ultimi dieci anni ha gestito la cassa della mafia, ha veicolato i pizzini del fratello e che, dopo la cattura dell’ultimo degli stragisti, avrebbe potuto assurgere al vertice di Cosa nostra. Ma l’incoronazione della prima donna boss a capo del mandamento di Castelvetrano e Mazara del Vallo è stata sventata dai carabinieri del Ros, che ieri hanno arrestato Rosalia non con la più lieve accusa di favoreggiamento della latitanza di Matteo Messina Denaro, ma per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa facente capo al fratello. Nelle 47 pagine di ordinanza di custodia cautelare, il gip di Palermo Alfredo Montalto ricostruisce il profilo di una donna che “oltre all’essere sorella affettivamente legata al latitante, ha assunto nel tempo un ruolo che richiede obbedienza, silenzio e connivenza, rivestendo in pieno il compito di garante per l’intera Cosa nostra della sopravvivenza del suo unico grande capo allora ancora latitante”, scrive il giudice, il quale, nel disporre la reclusione, ha ravvisato per Rosalia tutte e tre le esigenze di custodia cautelare. La donna, infatti, “vanta una serie di stretti rapporti familiari di elevatissimo lignaggio mafioso, di talché, se lasciata in libertà potrebbe anche in via indiretta, pesantemente inquinare le prossime e complesse acquisizioni in corso che riguardano la documentazione sequestrata il 16 gennaio”, giorno dell’arresto del latitante malato alla clinica La Maddalena. “La famiglia Messina Denaro con ben due componenti (padre e figlio) rimasti latitanti uno fino alla morte l’altro per ben 30 anni”, sottolinea il gip, “dimostrano che la capacità di darsi alla fuga non solo è altamente probabile ma anche assolutamente praticata. Nessun dubbio dunque sulla sussistenza del pericolo di fuga”. E infine “l’essere stata la donna che ha gestito al più alto livello i rapporti con il capo mafia rende evidente il pericolo che l’intera associazione, dopo l’arresto del fratello, possa individuare in lei la nuova mente strategica dell’organizzazione; senza considerare poi che i flussi di denaro da ella gestiti sono ancora tutti in circolazione o custoditi in luoghi sicuri, di talché, se lasciata in libertà, la donna ben potrebbe compiere altri delitti finalizzati al controllo economico del territorio o a reinvestimenti illeciti o più in generale prosegua nell’attività criminale in Cosa nostra o per conto di Cosa nostra”. Un quadro probatorio che dimostra un’elevata levatura criminale e una dedizione verso il fratello Matteo, anch’egli così tanto legato a sua sorella da aver messo in atto tutta una serie di accortezze tese a preservare Rosalia nel suo ruolo di protagonista del sistema di veicolazione dei pizzini del boss, qualora gli inquirenti avessero intercettato le comunicazioni. Primo tra tutti il nome in codice scelto da “Ignazieddu”, alias Matteo Messina Denaro, per sua sorella, che in tutti i messaggi viene chiamata “Fragolone”, un nome al maschile e perfino l’indicazione che il destinatario fosse fuori dalla cerchia dei familiari. Ma l’arresto della rete dei fedelissimi, con l’operazione Hesperia del Ros del 6 settembre scorso, ha stretto il cerchio attorno alla famiglia Messina Denaro e ha portato alla fortuita scoperta della falla grazie alla quale i carabinieri hanno catturato il boss, una serie di fiancheggiatori tra cui l’alias Andrea Bonafede e ieri sua sorella Rosalia. La circostanza fortunata risale al 6 dicembre, quando gli esperti del Ros si sono introdotti in gran segreto nella casa della donna, a Castelvetrano, per installare microspie e telecamere. Proprio mentre stavano piazzando la cimice in una gamba cava di una sedia della cucina, si sono accorti di un foglietto nascosto, una sorta di diario clinico di un soggetto sconosciuto. Il pizzino, dunque, era stato fotografo e rimesso allo stesso posto. Ma grazie alle date relative a interventi chirurgici, gli inquirenti sono risaliti alle operazioni per il tumore di Bonafede, accertando così che mentre il geometra doveva essere in ospedale, in realtà si trovava nella sua abitazione a Campobello di Mazara. A quel punto ha preso forza la pista dello scambio di persona, che ha condotto i carabinieri alla cattura di Matteo Messina Denaro nel giorno in cui doveva fare la chemioterapia. E i pizzini sequestrati nel suo covo di vicolo San Vito hanno permesso di collegare altri messaggi occultati, nella gamba della sedia, da Rosalia, che è la mamma dell’avvocato del latitante Lorenza Guttadauro. Incrociando i dati e confrontando i biglietti originali scritti dal boss, che negli ultimi tempi non utilizzava più il metodo di distruggere i pizzini per non dimenticare affari e impegni, con quelli ricopiati da sua sorella si è giunti alla certezza che Fragolone fosse proprio lei. Ed è fitta la corrispondenza del boss, che incaricava Rosalia di una molteplicità di compiti. “Quelli di paziente tessitrice dei conflitti tra i parenti, di riservata veicolatrice delle decisioni del latitante su questioni di carattere familiare, nonché di vera e propria cassiera, incaricata dal fratello di ricevere ingenti somme di denaro, di custodirle, rendicontarle e all’occorrenza distribuirle. E, infine ma non per ultimo, di canale di smistamento dei “pizzini” tra il latitante e altri associati mafiosi”, precisa il gip. Era lei a gestire i soldi della mafia. “Per il prossimo periodo devi spendere di nuovo 12.400. Non di più. E mi fai sempre lo spekkietto finale così so quanto è la cassa”, scrive il boss. Matteo istruiva Fragolone anche sulle precauzioni da prendere per individuare le telecamere ed eludere le indagini: “Prima ti devi accertare se sono telecamere o cassette di rilancio”. Un termine tecnico che fa ipotizzare agli inquirenti il coinvolgimento nella rete del latitante di appartenenti alla forze dell’ordine. E quando i due non parlavano di affari, ma della loro famiglia, lui la chiamava con il soprannome “Rosetta”. In un pizzino del 15 dicembre 2013, ritenuto dagli inquirenti il “manifesto di Cosa nostra” e redatto dal boss due giorni dopo l’arresto dell’altra sorella Patrizia e del nipote Francesco, sono “inquietanti e eversive le espressioni condivise dal capo mafia con “Rosetta”, soprattutto nelle parti in cui egli definiva la donna (e con lei l’intera associazione) «perseguitati, sopraffatti da uno Stato prima piemontese e poi romano che non riconosciamo», concludendo che «incriminati di mafiosità è un onore»”.

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