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E’ morto Beckenbauer, ci rimane il Kaiser

di Giovanni Vasso -


Franz Beckenbauer se n’è andato. Ma di lui ci resta tanto. Il Kaiser appartiene, di diritto, alla storia del calcio.

Per essere stato tra i più grandi difensori della storia. Per aver cambiato, per sempre, un ruolo che, fino alla sua epifania, pareva riservato a vecchi scarponi a fine carriera o agli “assassini” amati, invocati, convocati e teorizzati da Nereo Rocco nella sua squadra perfetta. Beckenbauer ampliò il repertorio del difensore. Portando eleganza là dove c’era solo agonismo. Ragionando laddove si combatteva soltanto, fosforo contro muscoli, si fece condottiero e regista, da dietro.

Per aver portato la Germania in vetta al mondo del calcio, nel ’74, diventando il volto di una Mannschaft imbattibile sul serio, riscattando, insieme ad anni di sconfitte, anche l’onta del sospetto del 1954, quando a Berna, la rappresentativa della Germania Ovest, scippò, per ragioni schiettamente politiche, i mondiali alla meravigliosa e irripetibile Aranycspat magiara di Puskas e compagni.

Franz Beckenbauer se n’è andato. Ma di lui ci resta una foto. L’Equipe l’ha sparata in apertura. Non poteva essere altrimenti. È lo scatto iconico dello Jahrhundertspiel, la più meravigliosa sconfitta di sempre dei panzer. O, se il punto di vista è il nostro, della Partita del Secolo, la più meravigliosa vittoria di sempre della nazionale italiana. Il Kaiser, con il braccio fasciato e la spalla lussata, che guida la Mannschaft all’Atzeca di Città del Messico contro gli azzurri. Era il 17 giugno del 1970. Di quel giorno, di quel 4-3, s’è scritto già tanto. E forse pure troppo. Si è detto della partita bruttissima fino al pareggio di Schnellinger. Si è parlato dei tempi supplementari, della girandola di gol. Di palloni scagliati nella porta avversaria e poi raccolti dalla propria. Franz Beckenbauer era lì. Con il braccio fasciato e la spalla lussata. A ispirare i suoi, a resistere alle folate azzurre. Una partita costellata di errori, di sbagli, di infortuni tattici. Eppure bella, libera, stupida: come la giornata perfetta del conte Mascetti.

Lui, Franz Beckenbauer, perse la partita ma non perse l’eleganza del movimento, il carisma del capitano che non si arrende. Finì 4-3, con una targa a imperitura memoria. E una foto, che di lui ci rimane. Se la prenderà, la rivincita, solo vent’anni più tardi. Da commissario tecnico, però. Portando la Germania, per l’ultima volta Ovest, ad alzare la Coppa del Mondo proprio a Italia ’90. In faccia a Maradona, però. Non agli azzurri che, invece, avevano estorto a Bari il terzo posto all’Inghilterra di Paul Gascoigne.

Franz Beckenbauer se n’è andato. Ma il Kaiser, quello sì, resta.


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