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Galli: “Le democrazie sono spaccate in due e producono disuguaglianze, così non reggeremo”

di Edoardo Sirignano -

CARLO GALLI POLITICO


“Le democrazie per funzionare non devono essere spaccate ideologicamente e percorse da disuguaglianze gigantesche”. A dirlo Carlo Galli,ex parlamentare e docente dell’Alma Mater Università di Bologna.

 

Il Papa dopo l’attacco in Brasile ha avvertito il mondo: è pericoloso l’indebolimento delle democrazie. È d’accordo?
Certo. È pericoloso. Forse sarebbe il caso di interrogarsi sulle cause di queste difficoltà. Le democrazie hanno bisogno, per funzionare, che le società non siano spaccate ideologicamente, e che non siano percorse da disuguaglianze gigantesche e crescenti. Se ciò avviene, si formano ondate di violento risentimento sociale, in direzione sovranista o populista (all’ingrosso, di destra o di sinistra). Per forze politiche estremistiche di questo tipo la competizione elettorale non è una lotta fra avversari ugualmente legittimi, ma un conflitto contro nemici illegittimi. Quando perdono le elezioni, quindi, queste forze possono non accettare il risultato e ribellarsi, attaccando le istituzioni “occupate” dal nemico. La democrazia è meno importante, per loro, delle loro posizioni politiche e ideologiche. Su queste dinamiche è appena stato pubblicato un libro da un politologo di Yale, A. S. Kirschner, intitolato “Legitimate opposition”.

 

Brasile è nei Brics. Putin strizza l’occhio a Lula. Ciò può influire negli equilibri planetari?
Certamente, ma non adesso. In questo momento gli Usa, a cui fa riferimento Bolsonaro (al partito repubblicano, in realtà), sono in guerra con la Russia e lo hanno duramente criticato. Nell’ipotesi di una resurrezione del trumpismo, però, tutto cambierebbe. Va anche detto d’altra parte che Lula nella sua nuova versione politica non è più tanto ostile agli Usa. E questa vicenda lo legittima forse un po’ agli occhi dell’establishment democratico americano. In ogni caso i suoi problemi con Bolsonaro non finiscono qui. Se incontrerà gravi difficoltà nel governo, ipotesi tutt’altro che improbabile, la sfida di Bolsonaro si ripresenterà, magari in altre forme.

 

Quali sono le differenze tra il caso Trump è quello Bolsonaro?
Quanto è successo a Capitol Hill due anni fa è per certi versi più grave dei fatti di Brasilia. L’enorme prestigio della democrazia americana è stato scosso e ciò ha turbato tutto il mondo. A Washington, inoltre, il Congresso era in seduta per ratificare le elezioni presidenziali. A Brasilia, invece, il parlamento era vuoto. In Brasile, però, a rendere più pesante la situazione, c’è stato un intervento dell’esercito, in forme quanto meno ambigue, in seguito rientrato. Per un po’ si sarebbe potuto pensare a un golpe, non solo a una rivolta populista. Negli Usa un coinvolgimento dei militari sarebbe al contrario fantapolitica.

 

La vicenda può avere ripercussioni sulla politica europea e nazionale?
In Europa e in Italia, dove pure abbiamo un governo di destra, la condanna ufficiale è stata netta. Al più da noi c’è stata qualche polemica sul fatto che Meloni si è limitata a rilanciare un tweet, impeccabile, di Tajani. Non mi pare che ci sia spazio per critiche fondate. Non si capisce che cosa avrebbe da guadagnare il presidente del Consiglio da una presa di posizione diversa da quella dei principali Paesi occidentali.

A proposito di Europa, oggi è in corso un dibattito sul rivedere questa istituzione. L’Ue deve essere ripensata?
Oggi la Ue è un sistema intergovernativo, in cui parlamento e commissione hanno ben pochi poteri. Contano gli Stati e il loro peso politico-economico. L’unità raggiunta sul caso ucraino è per molti aspetti obbligata, come anche le scelte pur tardive sul tetto del prezzo del gas. Gli interessi economici e geopolitici degli Stati divergono. Quando la guerra si fermerà, lo vedremo. La Germania è tornata insicura di sé e ciò non promette bene. Gli Stati dell’Europa orientale sono molto spostati verso l’orbita americana, più che verso l’Ue. Il passaggio a un assetto federale, auspicabile, è molto lontano.

Il mondo, a livello politico, va sempre più a destra. Ciò può rappresentare un pericolo?
Il vero punto non è che il mondo va a destra, ma che è finita la globalizzazione. Gli Stati, o gli imperi, hanno ripreso a fare Grande Politica, se mai avevano smesso. Cioè hanno ripreso a competere. Il mondo non unipolare ma plurale è più instabile e insicuro. Se le cose vanno bene si formeranno nuovi equilibri di potenza. Se vanno male ci saranno altre crisi di tipo ucraino.

Il governo Meloni, al momento, però, non ha particolari difficoltà grazie a un’opposizione divisa. Quando si potrà ritrovare l’unità?
Le minoranze italiane di centro e di sinistra sono divise per i personalismi dei vari leader e anche perché le prospettive politiche di Renzi e Calenda sono divergenti da quelle del M5S e del Pd. Non si può, inoltre, fare politica semplicemente opponendosi alla destra con un’ammucchiata. Occorrerebbero capacità di analisi, lungimiranza, radicamenti sociali chiari. Idee, prima di tutto, che possano essere comunicate a un popolo divenuto scettico sulla capacità della politica di cambiare le cose.

Dove è la sinistra, perché si è arrivati così in basso?
La sinistra si è giocata la propria storia quando ha sposato in pieno la narrazione economica e culturale del neoliberismo, quando ha creduto che il capitalismo fosse capace di generare sviluppo equilibrato e che la politica avesse un ruolo subalterno rispetto all’economia. Così dalle ceneri di Pci e Dc (di sinistra) è nato il Pd, un partito leggero, non strutturato, post-ideologico, con l’obiettivo di governare e non di lottare, di gestire il potere più che di risolvere le contraddizioni della società e i suoi problemi, che invece sono drammaticamente aumentati. I cittadini hanno virato a destra, non solo per motivi ideologici, ma soprattutto perché la destra ha fatto loro intendere di comprendere e di condividere le loro preoccupazioni. Non credo che le promesse saranno mantenute. La destra, intanto, ha vinto le elezioni e la sinistra (molto moderata) è in crisi di identità, di obiettivi, di idee e di progetti.

Il prossimo congresso del Pd può essere la svolta?
Non mi pare ci siano i presupposti. Abbiamo assistito a lotte di potere personali e di correnti, a qualche ammissione di colpa a mezza bocca. La dissestata realtà politica e organizzativa del Pd sembra inscalfibile. Non penso che i cittadini possano essere convinti a votarlo, quale che sia l’esito di questo “congresso” (che non è un congresso, in realtà, ma un groviglio di tweet, di interviste e di primarie). Ciò non toglie che la mia stima personale e culturale vada a Cuperlo.


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