Economia

Gas alle stelle, ma non è tutta colpa della guerra

Mercato frammentato e speculazione finanziaria le principali cause del rincaro

di Alessio Gallicola -


Salgono vertiginosamente le quotazioni di petrolio e gas dopo l’annuncio dell’Ue dell’embargo al greggio russo. Il Brent tocca 124 dollari al barile, il prezzo del gas al Ttf di Amsterdam arriva a 92 euro per megawattora e per le tasche degli utenti si preannuncia un ulteriore salasso. Lo scatto arriva a peggiorare una situazione già complessa, con i prezzi del gas all’ingrosso in Europa che avevano superato i massimi grazie al continuo flusso delle forniture dei gasdotti russi e alle forti importazioni di Gnl dagli Stati Uniti e da altri Paesi fornitori.

Ma per analizzare la crisi del prezzo del gas sarebbe fuorviante ricercare l’unica motivazione nella guerra in Ucraina. Altre sono le cause, che arrivano da lontano e chiamano in causa soprattutto il sistema di determinazione dei prezzi di acquisto.

Un rapporto di fine 2021 dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che raggruppa 38 paesi membri per la gran parte europei, aveva già evidenziato nell’aumento della componente gas la principale motivazione dell’incremento dei costi energetici. Per il gas naturale, il valore rappresentato è il prezzo dei futures giornalieri al Ttf, il punto di negoziazione olandese, mentre per il petrolio vale il prezzo “spot” del greggio Brent del Mare del Nord, vale a dire il costo esercitato al momento dell’acquisto. I prezzi future, invece, rappresentano il valore del gas previsto alla scadenza del contratto, mediamente a tre mesi, quindi indicano le aspettative degli investitori. Un sistema totalmente finanziario, che governa il mercato europeo, determinando una serie di passaggi intermedi che hanno l’unico risultato di accrescere i costi in bolletta per i consumatori.

La volatilità resta la caratteristica peculiare. Nell’arco di tempo preso in esame dall’Ocse, l’ultimo anno e mezzo, il prezzo del petrolio è raddoppiato, quello del carbone è quadruplicato, mentre quello del gas naturale è aumentato di ben 18 volte. Un aumento apparentemente senza senso, se lo si confronta con le altre due fonti energetiche. In effetti, però, si nota che con la fiammata di novembre-dicembre, il prezzo è salito sino a 180 euro al Mwh del Ttf olandese, contro i 40 euro del prezzo alla dogana, per poi scendere nelle settimane seguenti sui 75 euro, inferiore a metà novembre. Nessuno è stato in grado di spiegare il perché e neanche la situazione geopolitica è in grado di giustificarlo.

Se, infatti, l’aumento assurdo del prezzi spot Ttf fosse legato unicamente alla crisi ucraina, non solo avrebbe avuto riflessi anche su altri mercati extra Ue, che invece continuano ad essere stabili, ma soprattutto non si sarebbe registrato un crollo del prezzo proprio nella fase iniziale della crisi ucraina, che poi è andata peggiorando nei mesi successivi. 

Tornano, dunque, ad aleggiare gli spettri della speculazione finanziaria, che molti analisti chiamano in causa per provare a comprendere l’enorme volatilità del prezzo del gas, soprattutto in Europa. Alcuni big player del mercato, grandi importatori nazionali ma anche banche e fondi d’investimento, potrebbero aver fatto “cartello”, intervenendo come longa manus con acquisti “selvaggi” sul mercato Ttf, facendo così salire vertiginosamente il prezzo della materia prima, in modo da poter poi lucrare su quella acquistata a minor prezzo con contratti pluriennali. Perché l’avrebbero fatto? Per un semplice motivo: ripianare le grosse perdite segnate negli esercizi precedenti, contrassegnati dalla crisi Covid.


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