Storie

In faccia ai maligni e ai superbi il suo nome scintillerà

di Giovanni Vasso -


La tentazione sarebbe quella di buttarla in caciara. Non ce lo meritiamo Gigi Riva. E invece no. Perché questo sarebbe l’ultimo insulto. Non siamo “noi”, unità di misura italica del degrado civile e morale di una Nazione sempre col ditino alzato, che non ce lo meritiamo. No. È questo calcio italiano a non meritare Gigi Riva.

Il caso è noto ma le regole ne impongono un riassunto. A Riyadh si gioca la finale di Supercoppa italiana tra Napoli e Inter. La notizia della morte del grande campione piomba, come un fulmine a ciel sereno, nella prima serata di ieri. In fretta e furia si organizza un ricordo. E lo si piazza all’inizio del secondo tempo. Un minuto di silenzio. Ai “tifosi” sauditi non va giù. E fischiano, urlano, imprecano. Offendono la memoria di Gigi Riva. In Italia, nel campionato italiano, per molto meno (e a ragione) si sarebbe sospesa la partita. Avremmo letto articolesse indignate, bastonate al solito malcostume di un Paese incattivito, divorato da bassi istinti e pessime abitudini.

La sera passa così. In mattinata arrivano gli “spiegoni”. In pratica, qualcuno s’è preso la briga di “giustificare” il pubblico di Riyadh. E’ stato un cortocircuito culturale, i sauditi disprezzano e ritengono Bida’h, cioè eresia deplorevole, ricordare un morto standosene in raccoglimento. In pratica, spiegano quelli che la sanno lunga, è ciò che è già accaduto qualche settimana fa. Quando, durante la Supercoppa spagnola, lo stesso stadio fischiò la memoria di un altro gigante del football, Franz Beckenbauer. Bisogna rispettare le tradizioni, gli usi e i costumi di chi ci ospita, sussurrano in un attacco di populismo sovranista coloro che, invece, solitamente bastonano chi adotta lo stesso metro di comportamento in casa sua. Il fatto in sé è stato gravissimo, le giustificazioni – nell’era della comunicazione, delle favolette, dei contenuti sponsorizzati – suonano come un’ammissione di colpa. Se era già accaduto, perché lo avete fatto? Perché è stato messo in condizione un pubblico evidentemente non all’altezza di ospitare eventi internazionali di insolentire la memoria di un gigante della nostra cultura calcistica?

Ma la vicenda non è politica. Almeno, non in senso classico. La verità è altrove. È nel fatto che il mondo del calcio italiano deve avere, adesso, uno scatto d’orgoglio. Va bene gli incassi, va benissimo prendere milioni come se non ci fosse un domani. Non va bene, però, lasciarsi umiliare così. Proprio no. Perché quello che è accaduto ieri sera allo stadio ha smentito, in un colpo, tutte le costruzioni, le giustificazioni di chi ha tentato di indorare la pillola al pubblico italiano. “Andiamo in Arabia perché il calcio contribuirà all’alfabetizzazione civile di quel Paese”, disse il ministro allo Sport Andrea Abodi. I fischi a Riva hanno travolto le pie illusioni del governo. Anche di quello del calcio. Il presidente della Lega Lorenzo Casini ha dichiarato che “le società che ho sentito mi hanno detto di essere molto soddisfatte”. E ci mancherebbe pure, con i milioni che hanno incassato senza fare granché. “Siamo tornati qui dopo la pandemia e fino al 2029 collaboreremo per esportare il nostro calcio perché si stabiliscono connessioni commerciali e diplomatiche utili per il Paese”. A che prezzo?

Di sicuro, però, i fischi a Riva non macchiano un uomo vero di sport. Un pezzo d’Italia. Forse il ricordo più significativo, più vero, più dolce è nelle parole che un altro campione, fuori e dentro il campo, come Gianfranco Zola gli ha dedicato sui social: “Simbolo della nostra Sardegna, lui ci ha scelto. Noi lo abbiamo ammirato, amato, respirato. Continueremo a farlo: per sempre, di generazione in generazione”. In faccia ai maligni, agli avidi e ai superbi, parafrasando De Gregori, il suo nome, Gigi Riva, scintillerà.


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