Politica

Giorgia, la neo atlantista che prova a dare scacco al Ppe

di Giovanni Vasso -

GIORGIA MELONI PREMIER


Elly e Giorgia, più diverse non si può. Schlein, libera dalle responsabilità di governo, può accelerare fortissimo sui temi identitari della sinistra. Vecchia e nuova. Dal salario minimo ai diritti civili. Sconta, però, il fatto che il Pd sia un partito antico, fatto di correnti, nomenklature, dirigenti di ogni livello a ogni livello. Che già minacciano scissioni, disimpegni, e nuovi network al centro, come si è affrettato a spiegare l’ex ministro Fioroni. Meloni, al contrario, può permettersi tutto il deviazionismo di cui ha bisogno. Fdi è un partito modernissimo, liquido anzi gassoso, arroccato attorno alla figura della leader fondatrice. Senza di lei, crollerebbe tutto. E la destra italiana si ritroverebbe, ancora una volta, alla traversata del deserto, in attesa del nuovo Mosè. E questo lo sanno anche gli elettori del centrodestra.

La “m” di merkel

Elly canta Bella Ciao, commuove la sinistra “rossa” ma parla al mondo dei giovani, infatuati dal successo pop dell’inno partigiano che, nell’era delle serie tv, è diventata la colonna sonora di un cult come La Casa di Carta. Giorgia, consapevole che ogni nostalgismo folkloristico rappresenta un assist agli avversari per tenere la destra sotto tutela democratica, sta forgiando la sua “emme” ispirandosi a Maggie Thatcher nell’impostazione conservatrice (rivendicando a sé uno spazio politico che in Italia non è mai esistito, almeno dal dopoguerra in poi) e ad Angela Merkel nei fatti, nelle politiche internazionali. Atlantista, europeista al punto da progettare lo scacco al Ppe e all’intesa coi socialisti che in parlamento sostiene la presidente della Commissione Ue Von der Leyen. Palazzo Chigi dista dalla Garbatella poco più di cinque km. Ma per arrivarci, Meloni – che ha preso la strada lunga di una destra che, dopo l’implosione del Pdl, era tornata pulviscolare travolta da feroci lotte fraticide – ci ha messo vent’anni. E non ha alcuna intenzione di mollare proprio adesso.

I draghi e il monolite

La forza di Meloni è nel riconoscere i suoi limiti. Sa che Fratelli d’Italia, il suo monolite. è un partito che non ha classe dirigente. È il prezzo da pagare, in fondo, per avere una macchina da consensi inarrestabile. Dopo aver capitalizzato al massimo l’opposizione fattagli in parlamento, Giorgia ha saputo fare qualche passo indietro, prestando ascolto ai consigli di Mario Draghi. Anche, o forse specialmente, in campo internazionale. Meloni ha sorpreso proprio dove gli avversari speravano di prenderla in castagna, di vedere una leader goffa, impacciata, messa all’angolo dagli altri capi di Stato e di governo. Chiunque, poi, avrebbe rischiato seriamente di vacillare di fronte alle strategie (e alle intemerate) di Silvio Berlusconi. Che, in politica estera, è sempre stato un fuoriclasse e mantiene un certo prestigio. Forse, a consigliarla su come “gestire” il Cav, sarà stato anche Gianfranco Fini. Uno che, dallo scontro con Berlusconi, ne è uscito stritolato. Meloni è stata più fredda dei suoi e più lungimirante. Hanno saputo ricucire i rapporti, con Fini. In fondo, è stato lui il primo a credere in lei, al punto da volerla ministro della Gioventù tra il 2008 e il 2011. Intanto, giovedì, la premier sarà in India dove rafforzerà il legame tra il governo di Narendra Modi e Roma. Merito dei pontieri, certo. Sul tavolo c’è un importante accordo sui temi della difesa. Che assume una valenza doppia: tanto economica, per le aziende coinvolte e l’indotto che l’intesa potrà sviluppare, quanto politica per il ruolo che l’Italia andrà a rivestire presso un Paese immenso, con potenzialità di sviluppo enormi e, mai come oggi, arbitro degli equilibri internazionali.

IRON LADIES

Giorgia Meloni vive ancora una fase di luna di miele con gli elettori. Gli scossoni non l’hanno toccata. Né il caro carburanti, né l’inciampo Donzelli-Del Mastro e nemmeno il caso Cospito che, semmai, potrebbe darle l’allure (definitivo) da Iron Lady, di leader che non si fa mettere in difficoltà da nessuno e procede dritto per la sua strada. Come la Thatcher ai tempi. Le Regionali, in Lombardia e nel Lazio, hanno premiato lei. Ma, contestualmente, hanno espresso un’astensione altissima. Segnale, inequivocabile, di una disaffezione dalla politica. Che colpisce direttamente la sinistra. Per Schlein c’è a disposizione, proprio tra chi ha disertato le urne, un bacino elettorale immenso. Potrà andare in pressing sui delusi, sugli indecisi, sugli indifferenti. Ma dovrà farlo con giudizio. Le grandi battaglie della sinistra contemporanea non accendono granché i cuori. Ocasio Cortez, cui si ispira, è un fenomeno della politica Usa, ma marginale. Elly dovrà saper parlare non solo ai giovani ma (soprattutto) ai loro genitori, ai loro nonni. In fondo l’Italia è pur sempre un Paese di anziani e l’Istat non perde occasione per ricordarlo.
E dovrà farlo mentre Meloni, colpo dopo colpo, forgerà la sua “emme” nel segno di Maggie Thatcher e di Angela Merkel. Con la precisa intenzione di durare (almeno) altri vent’anni.


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