Editoriale

Giulietta nera e la cecità woke

di Adolfo Spezzaferro -


L’inclusività, l’ideologia “woke” e questa moda di dover “aggiornare” la storia occidentale secondo i dettami odierni ormai ha perso il senso della misura. Sebbene sia un fenomeno passeggero, i danni di questo revisionismo fanatico e ottuso – la cancel culture la chiamano, in un ossimoro che cancella proprio il concetto di cultura – ci indignano e ci fanno riflettere. L’ultimo affronto è quello di Giulietta nera. Il personaggio di Shakespeare interpretato da un’attrice di origini africane. L’annuncio ufficiale della compagnia teatrale londinese Jamie Lloyd Company ha scatenato la polemica, anche sui social. Accanto a Tom Holland (“Spiderman”) nei panni di Romeo Montecchi, salirà sul palco del Duke of York’s Theatre della capitale inglese, Francesca Amewaduh-Rivers nei panni della Capuleti. Ma il colore della sua pelle – e il razzismo ovviamente non c’entra niente – non ha nulla a che fare con una giovine italiana della Verona del 1303. Operazione però riuscita: assieme all’indignazione è montata pure la richiesta di biglietti. Le date dello spettacolo diretto da Jamie Lloyd, in scena dal 23 maggio al 3 agosto, sono andate immediatamente tutte esaurite. Non paga del successo dell’operazione pubblicitaria, la produzione ha pubblicato un comunicato in cui si lamenta di un diffuso sentimento razzista verso la propria attrice. “Dopo l’annuncio del cast del nostro Romeo e Giulietta, abbiamo assistito a un’intollerabile dimostrazione di abuso razzista online rivolto a un membro della nostra compagnia”, ha scritto la compagnia londinese. “Questi attacchi devono cessare. Stiamo lavorando con un incredibile gruppo di artisti e pretendiamo che siano liberi di svolgere il loro lavoro senza ricevere molestie online. Continueremo a sostenere e a proteggere tutti i membri della compagnia teatrale a tutti i costi. Gli abusi non saranno tollerati e verranno notificati a chi di dovere. Il bullismo e le molestie non dovrebbero avere luogo né online, né nella nostra industria né nella comunità in senso ampio”. E poi ancora: “L’atmosfera nella nostra sala prove è piena di gioia e gentilezza, i nostri collaboratori sono incredibili e pieni di talento. Continueremo a prepararci per il debutto di Romeo e Giulietta con generosità e affetto, e ci concentreremo sulla creazione del nostro spettacolo”, conclude il comunicato. Ecco, in questo cumulo di belle parole, piene di entusiasmo, affiancate al pianto greco per il razzismo brutto e cattivo che si è abbattuto sulla povera attrice, manca il senso della misura. Vengono tirati in ballo bullismo e molestie – come se il razzismo non bastasse. Ma soprattutto – qui sta la malafede – non si prende minimamente in considerazione che chi si è risentito per la Giulietta nera ha ragione. Non c’è alcun bisogno di cambiare il colore della pelle di un personaggio-archetipo come la sventurata Capuleti per favorire l’identificazione da parte dei più giovani o degli spettatori di origini africane. Le “maschere” teatrali hanno la loro forza, la loro essenza, il loro essere assolutamente convincenti – da cui il transfert e la catarsi fin dai tempi degli antichi greci, che il teatro l’hanno inventato – per ciò che incarnano, simboleggiano. Poi esistono l’immedesimazione e la sospensione dell’incredulità – che con una Giulietta nera vengono entrambe meno. Perché a Verona nel 1300 non ci poteva essere una Capuleti di origini africane, come la metti la metti. L’ideologia “woke” (che significa “sveglio”) non fa aprire meglio gli occhi sulle presunte colpe dell’Occidente bensì porta alla cecità.


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