Editoriale

L’EDITORIALE – I compagni e l’autocritica

di Tommaso Cerno -


I compagni e l’autocritica. Se c’è una cosa che non funziona è la sanità pubblica. Costi in salita, pochi soldi, disastro personale. E se c’è un responsabile è il governo del decennio dei tagli ideologici datato 2010-2022. Un monogoverno con la sola parentesi Lega-5 Stelle dove la costante è la presenza ininterrotta del Pd nella stanza dei bottoni. Da Letta a Draghi. E Schlein lo ha ricordato a Giorgia Meloni.

Si è consumato così, nel giorno delle follie comunicative, il question time che doveva essere un assaggio del duello tv fra il premier e la leader del Pd. Il giorno in cui Repubblica attacca il governo perché vende l’Italia dopo che il suo editore ha trasferito negli ultimi anni armi e bagagli praticamente tutto l’impero Fiat all’estero. Nel giorno in cui Bonelli in tv spiegava – nel giorno in cui parte il processo alla famiglia Soumahoro che ha gestito a dir poco allegramente oltre 60 milioni di soldi pubblici presi attraverso cooperative – che l’autonomia differenziata, che è in tutto e per tutto figlia della mitica riforma del titolo V a targa sinistra di qualche anno fa, prima ancora che sia partita, prima ancora che sia legge, come servirà a usare male i soldi pubblici. Tanto che la domanda spontanea sarebbe stata marzulliana: ma ne è così sicuro perché il Soumahoro lo ha consegnato lui agli italiani facendolo eleggere in Parlamento?

Beh, in questa giornata con i piedi per aria e la testa in giù (nessun riferimento a piazzale Loreto, per carità) serviva la cosiddetta ciliegina sulla torta. Ed è arrivata puntuale intorno alle 16 ora di Roma. Quando è andata in scena la domanda alla premier di Elly Schlein. La segretaria del Pd che sfiderà il presidente del Consiglio in tv e – se il partito le darà il permesso – perfino nelle urne delle Europee si è cimentata in un j’accuse del tutto sottoscrivibile. Parola per parola. Un atto di denuncia contro chi, negli ultimi dodici anni, ha distrutto il sistema sanitario nazionale, figlio della grande riforma italiana del 1978, e considerato per decenni fiore all’occhiello delle democrazie basate sul welfare. Ha snocciolato i tagli e i disastri di cui siamo testimoni, i tagli di oltre 30 miliardi che sono cominciati con il governo Monti, proseguiti con Letta, Renzi e Gentiloni. Ripresi con Conte e confermati con Draghi. Tutti governi (salvo la pausa gialloverde di pochi mesi nel 2018) sostenuti dal Pd. E infatti Elly, che non le manda a dire, ha messo le mani avanti.

E ha chiuso il suo intervento chiedendo a Meloni di non risponderle spiegando che c’era la sinistra alla guida del Paese, perché lei – Elly la segretaria delle primarie – lei non c’era. Ed è vero. Lei no, ma tutti quelli che a Gubbio le hanno spiegato che non si deve candidare alle europee, quelli c’erano eccome. Così come i disastri dell’epoca Covid, targata Roberto Speranza, su cui solo adesso – forse – grazie alla commissione di inchiesta si comincerà a dire la verità, quelli sono tutti ascrivibili ai partiti di governo dell’epoca. Pd e M5s durante tutta la pandemia, Pd e M5s più Lega e Fi nel governo Draghi. Insomma, tutti tranne Meloni.

Beh, serviva un po’ di onestà intellettuale. Serviva un po’ di verità. Tanto che Meloni alla fine ha ringraziato Schlein per la fiducia nel governo di centrodestra che ci sta provando. Ma, consiglio non richiesto, se questo è un duello… beh meglio farsene un’altra decina di Gubbio. Per fare meglio le prove. Perché così, cara Elly, è un disco rotto. E una sinistra scassata.


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