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Il “caso Agenda”: una smentita che non convince, i silenzi del Pd, le domande sulla rete estera che penetra i partiti

di Angelo Vitale -


Il caso Agenda continua a tenere banco sui media, almeno su quelli che si pongono domande. “Sembra che ci siano molte domande su Agenda. Vorremmo cogliere l’occasione per rispondere”: comincia così una dichiarazione di Jessica Shaerer, presidente del board dell’associazione che ha ricevuto 1 milione di euro in due tranche da una organizzazione svedese guidata da Daniel Sachs. Una smentita che appare impropria, anche se rapida ed evidentemente sollecitata alla Shaerer pure dagli ambienti politici che poi Agenda ha finanziato.

L’identità prova con questo primo articolo a dipanare le diverse trame di una vicenda che sembra sorpassare anche il ristretto recinto dei fatti rivelati da Adnkronos. “Agenda è un’associazione senza scopo di lucro – così la Shaerer – che sostiene giovani leader progressiste in Italia e in Europa, perché crediamo che il cambiamento progressista in Europa passi necessariamente dalla presenza in politica di donne femministe e di persone che portino avanti le istanze delle comunità marginalizzate”. La Shaerer conclude precisando che “le notizie di una presunta relazione di George Soros con Agenda sono false e infondate. Pertanto, neghiamo qualsiasi finanziamento di Soros ad Agenda”.

Una precisazione, quest’ultima, che si può riferire solo alla circostanza, da tutti evidenziata, di una organizzazione svedese guidata da colui che di quella presieduta da George Soros è il vicepresidente. E che non allontana più di tanto, a nostro avviso, i molteplici interrogativi che la questione ha posto, specialmente in una situazione politica nazionale ove più di una volta il solo termine “estero” collegato alle relazioni di questo o quel partito, questo o quel leader, questo o quel rappresentante di partito, in particolar modo se titolare di una rappresentanza istituzionale, hanno generato legittime domande, oltre che talvolta aspre polemiche.

Anche altro non convince, nelle parole di Shaerer che insiste sulla promozione del versante “femminile” della politica, pur accennando genericamente poi a “persone” che promuovano le istanze di “comunità marginalizzate”. Una definizione che può andar bene per tutti i candidati maschili “sostenuti” economicamente, da Fratoianni a Provenzano e a Misiani? Ma perché loro: quali potenzialità custodiva e custodisce la loro personale azione politica, per Agenda? E quali sono, nel dettaglio, questi “servizi” ogni volta genericamente indicati per giustificare il finanziamento per migliaia, decine o centinaia di migliaia, di euro erogati a sostegno di questo o quel politico?

Oggi, a distanza di un giorno e più dai servizi di Adnkronos, va innanzitutto segnalato che non intende commentare e chiarire con precisione la vicenda nessuno degli esponenti politici i cui nomi sono comparsi tra quelli finanziati da Agenda. Non parla il deputato, segretario e leader di Sinistra Italiana e Alleanza Verdi e Sinistra Nicola Fratoianni. Non parla Peppe Provenzano, che è stato ministro della Repubblica. Non parlano – lo fa Shaerer per loro – le cofondatrici di Agenda, donne della galassia dem vicinissima alla segretaria nazionale Elly Schlein. Non parlano la pletora di esponenti dem fedelissimi di Schlein. Inevase le domande pressanti di un commento, si spera forse che l’intera vicenda passi nel dimenticatoio. Come è accaduto, peraltro, negli ultimi anni ogni volta che sono emerse o riemerse le notizie di questi “sostegni”.

Non commentarono, più di tanto, per la verità – se non scherzosamente rimandando a fondi ottenuti dalla vendita dei tortellini alle feste del partito – tutti gli esponenti del Pd che già anni fa più di un giornale indicò come “sostenuti” da Social Changes, l’agenzia in cui è impegnata la Shaerer.

“Aiutino americano”, lo definì Repubblica. Un sostegno nato fin dall’impegno elettorale di Elly Schlein nelle Regionali dell’Emilia Romagna e proseguito a cascata fino ad oggi. Ogni volta, senza un commento “di partito” o personale da parte dei dem “sostenuti”, dai più (prima) sconosciuti che poi ottenevano significativi risultati elettorali se non proprio l’elezione, fino al governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Ogni volta, nella generalità dei candidati dem, con la Social Changes protagonista di un uso intensivo dei social media. Un’attività che per questa agenzia doveva essere remunerativa, se non economicamente, almeno per il lavoro svolto intorno all’obiettivo di combattere in Europa (e quindi in Italia) l’avanzata della nuova destra. Se, per esempio, era spesso in Italia e a Roma Arun Chaudhary, videografo di Barack Obama nel 2008, direttore creativo di Bernie Sanders per la campagna delle Presidenziali 2016, marito di Laura Moser che ha fondato Daily Action, un sito di messaggistica digitale che si rivolgeva a cause liberali durante l’amministrazione Trump. Diciotto mesi fa Chaudary era nella Capitale. Il direttore creativo di Social Changes (nel suo profilo l’indicazione di campagne sostenute in Kenya, Aruba, Mexico, Kosovo e, in Italia, per la candidatura alle Europee di Caterina Cerroni, poi cofondatrice di Agenda) poteva contare, per i suoi incontri, di un ufficio aperto in piazza San Silvestro.

Design advisor di Social Changes è un giovane italiano, Jacopo Castelletti. Il suo profilo sul sito dell’agenzia indica un impegno su campagne e social media per candidati progressisti e partiti politici, organizzazioni LGBTQ+, eventi sociali e associazioni. Nessun altro italiano, almeno ufficialmente, nello staff dell’agenzia che è il primo tassello di una rete estera che “sostiene” i candidati del Pd e dell’area progressista italiana. Nessuna “pressione” o “segnalazione” particolare dai vertici del partito, si è detto e ribadito in questi anni. Come, ogni volta, a tenersi lontani dall’immagine di un’agenzia “straniera” la cui presenza al fianco dei candidati dem sollevava domande.

(continua)



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