Cronaca

Il caso Pifferi e l’ombra dei test psicologici “falsati”

di Rita Cavallaro -


Alessia Pifferi è capace di intendere e di volere, pertanto deve rispondere dell’omicidio volontario della figlioletta Diana, la bimba di 18 mesi lasciata sola in casa a morire di stenti nel luglio 2022. Nonostante ormai da mesi la donna abbia assunto un atteggiamento tale da supportare l’ipotesi difensiva di un grave deficit intellettivo, che la porrebbe sullo stesso piano di ragionamento di una bimba di sette anni, per il pm Francesco De Tommasi è tutto frutto del suggerimento del team di psicologhe che ha effettuato le perizie sulla Pifferi. Motivo per il quale il filone d’inchiesta, che ha già portato all’iscrizione nel registro degli indagati per favoreggiamento e falso ideologico di due psicologhe della prigione di San Vittore di Milano, si sta allargando ad altre due colleghe delle professioniste, che pur non avendo firmato la consulenza tecnica hanno partecipato agli incontri con la mamma di Diana. Per la Procura non solo avrebbero convinto la donna di essere affetta dal grave deficit cognitivo, ma avrebbero anche modificato la relazione finale che ha fissato il quoziente intellettivo dell’imputata a “40, ossia a 1 percentile. È una bambina. Ed è stato come aver messo in mano una bambina di un anno e mezzo a un’altra bambina”, aveva sostenuto l’avvocato difensore Alessia Pontenani, in un’udienza davanti alla Corte d’Assise di Milano, che a quel punto ha deciso di disporre una perizia sulla Pifferi, per valutare le risultanze della consulenza di parte. E i risultati hanno smentito le conclusioni delle psicologhe. Lo psichiatra Elvezio Pirfo, incaricato dai giudici, ha infatti valutato le condizioni cognitive dell’imputata e la perizia ha messo in luce la piena capacità della Pifferi di intendere e di volere. Il medico ha dunque certificato che il test psicodiagnostico eseguito in carcere “non è attendibile”. Da qui l’impulso della Procura, che oltre a stringere il cerchio sull’operato delle psicologhe ha chiesto una proroga delle indagini, in quanto sono necessari “ulteriori accertamenti” per “delineare la rete criminale nel cui ambito si collocano i fatti”. L’ipotesi investigativa, infatti, si concentra su uno scenario che, se dimostrato, potrebbe coinvolgere altri casi, perché gli accertamenti in atto puntano a portare alla luce un sistema che avrebbe replicato nel tempo lo stesso modus operandi, ovvero test psicologici “falsati” su più detenuti. Per ora soltanto sospetti, ma il pm avrebbe già alcuni elementi nel caso Pifferi che potrebbero aprire la porta a scenari più ampi. “Se la finalità è quella di insistere sulla validità di quella nota relazione, io preannuncio che fornirò nero su bianco la prova che l’imputata ha reso, nei colloqui col perito, delle dichiarazioni precostituite e imbeccate da altri”, ha detto il pm De Tommasi, dopo che lunedì scorso ha deposto in udienza lo psichiatra Pirfo, il quale ha esposto la perizia superpartes e garantito che la Pifferi, al momento dei fatti, era capace di intendere e di volere.
Inoltre sarebbe falsa anche la rivelazione che la Pifferi avrebbe fatto al medico durante gli incontri, in cui ha sostenuto di essere stata vittima di una violenza sessuale da piccola. “Vi fornirò la prova”, ha sottolineato il magistrato, “che il presunto abuso sessuale subito quando era minore” sarebbe “assolutamente falso e che questo racconto è frutto di un suggerimento preciso che è stato dato all’imputata”. Insomma, la condizione di minorata mentale della donna sarebbe tutta una recita, orchestrata per non dover rispondere di ciò che ha fatto alla sua bambina. Diana è morta nel più terribile abbandono, sola e affamata, in un lettino da campeggio dove la sua mamma l’ha lasciata per quasi una settimana, finché il 21 luglio 2022 non è stata ritrovata cadavere. Secondo gli inquirenti, la Pifferi vedeva la sua bambina come un peso, un ostacolo che non le permetteva di godersi la vita fino in fondo, così le avrebbe somministrato tranquillanti e sarebbe andata dal fidanzato, lasciando la piccola con un biberon di latte per sei giorni. Tanto che la bimba, stremata dalla fame, alla fine ha divorato perfino pezzi del suo cuscino.


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