Cronaca

Il Dna incastra il killer mafioso dei Fioretto uccisi a Vicenza nel ’91

di Ivano Tolettini -


Un presunto killer già condannato per attività mafiosa. Nello specifico ’ndrangheta. A uccidere l’avvocato d’affari Pierangelo Fioretto e la moglie Mafalda, detta Dina, Begnozzi il 25 febbraio di una fredda serata di 33 anni fa a Vicenza, destando un clamore che durò a lungo nella opulenta provincia veneta, tanto più viste le modalità di stampo mafioso con il colpo di grazia sparato a entrambe le vittime agonizzanti nel cortile del condominio in cui vivevano, sarebbe stato il calabrese Umberto Pietrolungo, 58enne sodale del clan Muto di Cetraro. Ieri gli è stata consegnata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal Gip di Vicenza in prigione a Cosenza, dove si trova per un altro procedimento della Procura di Castrovillari. È stato il procuratore capo di Vicenza, Lino Giorgio Bruno, a comunicarlo nel corso di una conferenza stampa ieri mattina a conclusione di un’inchiesta che ha conosciuto la clamorosa e inaspettata svolta quando il Servizio di Polizia scientifica della Direzione Centrale Anticrimine evidenziò la corrispondenza tra il Dna isolato su un guanto abbandonato da uno degli assassini dei coniugi Fioretto nell’immediatezza del duplice omicidio, e il profilo genetico isolato l’8 gennaio 2022 nell’Hotel San Daniele di Cirella di Diamante in provincia di Cosenza, dove venne ferito a colpi di arma da fuoco Roberto Martini.
“Non mi sorprende che il presunto omicida sia legato alla criminalità organizzata – afferma da Firenze l’antiquario Gianpaolo Fioretto, fratello della vittima -, l’ho sempre affermato e l’ho ripetuto di recente anche a L’identità perché Pierangelo era noto per la sua dirittura morale. Lui si occupava delle principali crisi d’impresa non solo del Vicentino per conto dei tribunali veneti, che lo incaricavano come commissario liquidatore o curatore, e ha detto di no al tentativo di un’infiltrazione mafiosa. Questa idea me l’ero fatta fin da subito leggendo le carte. Ringrazio la magistratura e la polizia per questo significativo risultato anche se ci sono voluti così tanti anni”.
Ancora una volta è l’evoluzione delle tecniche d’indagine a consentire la soluzione di un “cold case”, un giallo apparso inestricabile per decenni. Il primo passaggio che ha portato alla svolta per ottenere la concordanza positiva di “primo livello” tra i profili genetici isolati sul guanto in pelle trasmesso nel 2012 dalla questura di Vicenza al Gabinetto interregionale di polizia scientifica di Padova, e quindi alla della Direzione centrale anticrimine di Roma, e quello isolato nel 2022 in Calabria, avvenne quando la tecnica di genetica forense si è così evoluta tale da individuare il Dna su tre reperti prelevati dal guanto in pelle trovato in contrà Porta Santa Lucia a Vicenza, a poche centinaia di metri dal luogo del delitto. Su quel guanto gli specialisti della polizia individuarono una massiccia presenza di particelle di piombo, bario e antimonio come sui due cadaveri. Che si trattasse di un probabile delitto mafioso la circostanza che i sicari, che avevano atteso per ore quel giorno Fioretto sotto casa in contrà Torretti, utilizzarono due pistole giocattolo “Nuova Molgara” modificate per sparare proiettili calibro 7,65 e con il silenziatore. Le armi all’epoca venivano usate dai sicari della criminalità organizzata. Non solo, i killer avevano agito a volto scoperto confidando sull’impunità. E gli identikit realizzati grazie ai numerosi testimoni che guardarono in faccia gli assassini combaciano con le foto segnaletiche di Pietrolungo del 1991. In quegli anni avrebbe operato al Nord e fu fermato il 15 dicembre 1991 a Genova – dove ebbe la residenza a Gogoleto dal 1982 al 2010 – per un sequestro di persona e rapina a mano armata ai danni di un gioielliere. Il 7 luglio di quell’anno fu controllato a Milano con due esponenti del clan Muto a dimostrazione, per gli investigatori, che Pietrolongo sarebbe stato organico alla ’ndrangheta. A chiamarlo in causa ci sarebbe anche un pentito. “È un risultato importante – spiega il Procuratore Bruno, che ha coordinato l’inchiesta diretta dal sostituto Hans Roderich Blattner – che corona anni di pazienti indagini e che adesso attende il vaglio dei giudici”.


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