Politica

Il dopo Zinga e la corsa di Rocca. Diaspora Dem. Roma resta sola

di Edoardo Sirignano -

FRANCESCO ROCCA CANDIDATO REGIONE LAZIO ©imagoeconomica


Finisce l’era Zinga. Dopo un decennio, il fratello di Montalbano lascia il testimone. La corazzata imbattibile di Nicolone, detto l’uomo delle piazze, termina la propria missione. I cittadini, domani, voteranno un nuovo presidente alla guida del palazzone di vetro della Cristoforo Colombo.

La diaspora dei rossi

La riconferma per la sinistra, senza il governatore uscente, però, non è affatto scontata. Al contrario, come rivelano i sondaggi, sembra essere un cammino in salita o al limite della possibilità, perché in politica nulla è scontato. Il fronte progressista, stavolta, a differenza del recente passato, si presenta diviso. Vincenzo D’Amato ha dalla sua i democratici, Matteo Renzi e Carlo Calenda, ma non il Movimento 5 Stelle. I gialli vogliono solo contarsi e dimostrare di avere un peso. Ecco perché la corsa del volto di Linea Blu Donatella Bianchi, qualunque sia l’esito delle urne, sembra avere un solo scopo: rafforzare la leadership di Conte nell’area progressista. Vincere per i grillini, salvo terremoti politici, è impossibile. Allo stesso modo, ottenere un risultato importante per l’ex premier vuol dire prendere le redini della coalizione, in vista delle europee 2024, dove al contrario di quanto ascoltiamo oggi, Pd e M5s correranno a braccetto. Le differenti posizioni sul termovalorizzatore, pertanto, sono soltanto la scusa per celare le vere ragioni della diaspora. Una cosa è certa, l’assessore del Covid resta solo a dover battersi contro l’invincibile armata conservatrice. Lo stesso Zinga, a parte qualche comparsa, nei fatti, non tira più di tanto la carretta. C’è un uomo solo circondato da tanti colonnelli interessati esclusivamente a salvaguardare il proprio orticello o meglio ancora una poltrona. L’acqua, intanto, rischia di essere poca. La papera, quindi, non è detto che galleggi. Le divisioni, alimentate dal fuoco del congresso, pertanto, rischiano solo di penalizzare una sinistra che difficilmente riuscirà a ripetere quanto riuscito a Zinga.

La solitudine della città eterna

In questo quadro, intanto, c’è un altro soggetto che rischia l’isolamento. Stiamo parlando del sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Nel caso in cui vincesse la destra, quest’ultimo rischia di affrontare sfide decisive per il Paese, come il Giubileo e l’Expo, senza quella filiera, che fino a questo momento l’ha garantito. Una cosa è governare Roma con la Regione, altro è farlo senza prebende e caselle da distribuire all’amico dell’amico, a maggior ragione se le porte di Palazzo Chigi sono sbarrate.

La corsa alla Rocca

Se Atene piange, Sparta non ride. Anche se i sondaggi dovessero avere ragione, i problemi per il centrodestra saranno ordinarietà il giorno dopo le elezioni. A confermarlo gli ultimi giorni di campagna. Partendo dal partito della Meloni, l’unità non è certamente parola d’ordine. I fedelissimi di Rampelli, che qualcuno da tempo chiama “il trombato”, intendono ricavarsi spazi vitali per rompere le uova nel paniere. Non si esclude, qiuindi, che le prime grane per l’ex presidente della Croce Rossa possano arrivare dal partito che lo ha sponsorizzato e lanciato. Fuori dal perimetro di Fdi, le cose non vanno meglio. La crisi della Lega è evidente nel Lazio. Difficilmente sarà possibile salvaguardare lo spazio, ottenuto negli ultimi anni. Stesso discorso vale per Forza Italia. Il movimento nel Lazio guidato nel Lazio dal ministro degli Esteri Antonio Tajani dovrà dimostrare di avere dei numeri. A tirare, questa volta, però, non c’è l’onda Silvio degli anni 90. Circola, al contrario, la voce che i primi siluri per il titolare della Farnesina arrivino proprio da Arcore. C’è, poi, la sempre presente incognita del civismo. Pur non essendo delle invincibili armate, dove si collocheranno le liste del presidente dopo il voto? Stesso discorso vale per i sempre presenti centristi. Nell’Udc, il clima è caldo. C’è più di qualcuno che aspetta la fine del mese per spodestare l’attuale segretario Cesa, che potrebbe restare il solo padre nobile del nuovo scudocrociato.

Grazie Fedez

La notizia confortante per i sovranisti, però, arriva dall’Ariston. L’ultima uscita di Fedez contro il viceministro Bignami e il Governo è la colla per ricompattare un fronte, tutt’altro che coeso, almeno fino all’inizio di Sanremo. Ecco perché dagli Scientologist della sinistra, dai compagni dell’arte, dalla nuova sfera dell’influencer, arriva l’assist inaspettato. Un vento che rasserena Rocca, ma che scalfisce e non poco il D’Amato di turno, che oltre a combattere gli avversari, in una contesa dove il civismo conta poco o nulla, deve replicare alle stupidaggini di “personaggetti”, come avrebbe detto il campano De Luca, in cerca di autore.

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