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IL DOSSIER SEGRETO ORLANDI

di Rita Cavallaro -

PIETRO ORLANDI FRATELLO DI EMANUELA ORLANDI


 

“L’apertura di un fascicolo in Vaticano su mia sorella Emanuela è sicuramente un passo in più, ma questo non mi farà dimenticare quello che hanno fatto per quarant’anni. E non è un caso che questa indagine arrivi proprio al culmine delle polemiche su Papa Francesco, dopo la morte di Joseph Ratzinger e le dichiarazioni di padre George Gänswein, segretario di Benedetto XVI. Mi ha colpito che quest’ultimo, senza che nessuno glielo chiedesse, si sia sentito di precisare che non esiste alcun dossier in Vaticano su Emanuela. Invece quel rapporto esiste ed è chiuso nella Segreteria di Stato. Io voglio vederlo, adesso la Chiesa deve raccontare la verità sulla scomparsa di mia sorella”. Pietro Orlandi è un fiume in piena, mentre commenta l’inaspettata mossa della Santa Sede, che, per la prima volta in quattro decenni, ha ufficialmente aperto un’inchiesta su Emanuela Orlandi, la 15enne cittadina vaticana svanita nel nulla il 22 giugno 1983, a Roma. Dal giorno della misteriosa sparizione della sorella, Pietro non si è mai arreso. Non solo l’ha cercata e ha indagato personalmente sulla fine della ragazzina, ma non ha mai avuto timore di parlare, di puntare il dito contro i vertici della cristianità e neppure di ingaggiare bracci di ferro con chi, secondo lui, ha coperto responsabilità e depistato le indagini. Quantomeno le uniche, quelle effettuate dalla Procura di Roma. Mai avviate, invece, all’interno delle mura vaticane. È lì che si nasconde la verità su Emanuela. La famiglia Orlandi lo sa, il loro avvocato Laura Sgrò ne ha avuto conferma. Perché su uno scaffale della Segreteria di Stato giace ormai da tempo un rapporto dettagliato sul caso Orlandi, dove ci sono nomi e fatti. Dove c’è un epilogo che, però, deve essere tenuto segreto e che gli ultimi Pontefici si sono portati nella tomba. Emanuela Orlandi è morta. “Emanuela è in cielo”, ha confessato Papa Bergoglio a Pietro, durante un incontro a messa subito dopo la sua elezione. Il segreto resta come è morta e per mano di chi. Tutta la storia sarebbe nel dossier riservato, sulla cui esistenza la stessa Chiesa alimenta il mistero. “Anche se monsignor Gänswein ora sostiene che quel rapporto non c’è, noi abbiamo la certezza della sua esistenza. È stato lo stesso Georg”, aggiunge Pietro Olrlandi, “a parlare con il nostro avvocato, Laura Sgrò, alla quale ha confermato l’esistenza del fascicolo su Emanuela e le ha ribadito che è attualmente in Segreteria di Stato”. La stessa conferma che è arrivata al fratello di Emanuela da Paolo Gabriele, il “corvo” del caso Vatileaks ed ex maggiordomo di Ratzinger che, nel 2012, rubò documenti privati del Pontefice e li divulgò alla stampa. “Nel 2011 ho incontrato monsignor Gaenswein e mi disse che avrebbe parlato con il capo della Gendarmeria Domenico Giani, che avrebbe compilato un fascicolo, che lo avrebbe consegnato a Paolo Gabriele. Io conoscevo bene Gabriele”, racconta, “perché abitava sopra a mia madre. Mi disse che sul tavolo di padre Georg c’era un fascicolo e che era dispiaciuto di non essere riuscito a fotocopiarlo. Ma era su quel tavolo, spillato e chiuso in una cartellina. Inoltre aggiunse che gli fu espressamente chiesta la conferma di non aver rubato il fascicolo su Emanuela perché, gli dissero, “se va alla stampa è una tragedia”. In Vaticano sanno tutto, ora devono dirci la verità, anche perché finché non decideranno di chiudere questa storia io non mi fermerò, andrò avanti nonostante tutto”, sottolinea. Ora Pietro Orlandi attende di essere convocato, insieme all’avvocato Sgrò, dal promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi, per poter parlare dello scambio di messaggi tra due prelati vicini a Bergoglio, che riguarderebbero Emanuela, strani tombaroli e la stanza segreta sotto il cimitero Teutonico, luogo, quest’ultimo, dove il corpo della ragazza potrebbe essere stato nascosto e poi spostato. La conversazione via whatsapp, che risale al 2014, è arrivata lo scorso anno nelle mani dei familiari, consegnata a Pietro da alcune persone interne alla Chiesa. Nello scambio di messaggi, intercorso tra due cellulari riservati del Vaticano, si parla della ragazza rapita, della stanza sotterranea del Teutonico, dei “tombaroli”, di Papa Francesco e del cardinal Abril, che all’epoca era il presidente della commissione cardinalizia dello Ior. “A un certo punto i due scrivono: come paghiamo i tombaroli per quelle cose che abbiamo preso? E poi parlano di documentazioni su Emanuela e dicono che ne era al corrente Papa Francesco e il cardinal Abril”, precisa Pietro. Che forte di quei nuovi elementi, dai quali è convinto si possa fare luce sulla vicenda e su chi è intervenuto per insabbiare il caso, subito dopo la ricezione degli screenshot aveva scritto una lettera a Papa Francesco per chiedere giustizia per sua sorella. Tanto più che i due interlocutori, autori dei whatsapp, sarebbero due prelati molto vicini a Bergoglio. E il Pontefice, due mesi dopo la consegna della missiva, aveva inaspettatamente risposto, precisando che il Vaticano era disponibile a collaborare e indicando alla famiglia Orlandi di condividere gli elementi di prova con il tribunale vaticano. Così Pietro e il suo legale avevano depositato la documentazione alla cancelleria della Santa Sede, convinti che sarebbero stati convocati per essere ascoltati, visto che nell’istanza sarebbero indicati anche i nomi dei due prelati, ai quali Pietro avrebbe mandato dei whatsapp, visualizzati ma rimasti senza risposta. Nonostante le rassicurazioni di Papa Francesco, però, ci è voluto un anno affinché la magistratura vaticana si muovesse. E il caso vuole che l’apertura del fascicolo sia stata decisa solo nel momento in cui Bergoglio è finito nel polverone per le polemiche seguite alla morte del Papa Emerito. Polemiche che, con l’avvio dell’inchiesta Orlandi, sono già state dimenticate.

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