Cinema

Il fabbricante di pathos: male ma non malissimo

di Martina Melli -


Il fabbricante di lacrime ti catapulta in un Twilight a Milano 2. Malgrado i nomi dei personaggi – Nica, Rigel, Norman, Adeline, Lionel ecc – il liceo Barnaby High School e le location da provincia americana, regia, attori e accenti sono tutti rigorosamente nostrani. Il film, tratto dal bestseller di Erin Doom (anche qui, pseudonimo di un’autrice italiana divenuta famosa grazie a Tik Tok) e firmato da Alessandro Genovesi (10 giorni senza mamma, Puoi baciare lo sposo e altri) è un teen drama romantico e vagamente dark, da pochi giorni disponibile su Netflix. L’ambizione della produzione made in Italy è encomiabile: una storia con scenografie, costumi e atmosfere favoleggianti, niente di più lontano da ciò a cui ci ha abituato il cinema italiano. Io sono sempre bendisposta nei confronti di progetti dal respiro ampio o ampissimo (ci ricordiamo tutti il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot) ma in questo caso, purtroppo, il risultato è a dir poco deludente. Il film è tremendo; i personaggi (perennemente costipati nel parlarsi) sono ridicoli. La responsabilità è probabilmente del materiale a disposizione, non tanto della capacità degli interpreti né della direzione artistica. Anzi, i coprotagonisti (l’amica albina Adeline e il figo della scuola Lionel) sono stranamente convincenti e naturali. La storia si snoda intorno alle vicende di due orfani che crescono insieme in un collegio architettonicamente suggestivo, per poi venire affidati a una coppia buona e gentile desiderosa di dare loro una famiglia. Le ambientazioni (l’orfanotrofio in primis), la fotografia e la colonna sonora sono belle. Ho apprezzato molto il leitmotiv di pianoforte e la scelta di uno specifico brano di Billie Eilish, I love you, come condimento del primo vero bacio tra i due ragazzi. Il loro attrarsi e respingersi, la danza tormentata del loro odio/amore fa arrossire lo spettatore (e non in senso buono); il susseguirsi di cliché da teen movie, il dramma più raccontato che mostrato – un dramma che è plausibile ci sia dati i molteplici traumi affettivi di due bimbi soli al mondo – non c’è affatto, non viene sviluppato né in alcun modo approfondito. L’io narrante di Nica (dolce fanciulla dal nome di farfalla pluviale) commenta con frasi retoriche le proprie sensazioni, proprio come insegnano a non fare in qualsiasi corso di scrittura che si rispetti. Rigel, il bel moro (tintissimo, si tratta addirittura di BIONDO, un ex Amici di Maria de Filippi) è tenebroso, scontroso, apparentemente pericoloso e altri vari -oso ( non petaloso) e porta il nome di una stella. Lui è il lupo nella favola nera di Nica che minaccia per più della metà del film in modi oscuri e sconclusionati (“Non toccarmi con questa casualità. Mai. Altrimenti io non mi fermo”). La tensione sessuale mista tormento mista sfighe infantili mista amore incestuoso (spiace Gen Z non toccherete mai le vette della lovestory tra Marco e Eva dei Cesaroni) rendono la pellicola godibile ma davvero imbarazzante per un adulto.


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