Esteri

Il filo rosso dei russi che porta dritto alla guerra con gli Usa

di Ernesto Ferrante -


Il comitato investigativo russo continua a raccogliere i tasselli mancanti per comporre il mosaico del terrore. Il bilancio delle vittime dell’attacco di venerdì notte all’auditorium Crocus City Hall, alla periferia di Mosca, si è aggravato con il passare delle ore. Il servizio di sicurezza federale russo (FSB) ha comunicato di aver arrestato 11 persone, tra cui i 4 attentatori materiali. I sospettati stavano tentando di fuggire verso il confine tra Russia e Ucraina, dove si ritiene avessero dei “contatti”. Lo Stato Islamico (Isis) ha rivendicato la responsabilità dell’atroce massacro, mentre Kiev ha negato ogni coinvolgimento. Washington avvalora la tesi della responsabilità di Daesh, mentre Mosca insiste sulla pista ucraina. Tracce diverse a cui corrispondono possibili sviluppi di guerra.
Il 7 marzo l’ambasciata statunitense in Russia aveva lanciato un avvertimento: “Gli estremisti hanno piani imminenti per prendere di mira grandi raduni a Mosca” e aveva esortato i cittadini americani a stare lontani dalle aree e dai luoghi affollati.
Putin aveva parlato di una “provocazione occidentale”. “Tutto questo assomiglia a un vero e proprio ricatto e all’intenzione di intimidire e destabilizzare la nostra società”, avrebbe riferito il presidente russo durante una riunione con i massimi responsabili della sicurezza.
L’Isis ha fatto sapere che che a mettere in atto la carneficina sono stati quattro dei suoi “combattenti” di cui ha pubblicato le foto. “L’attacco si inserisce nel contesto di una guerra furiosa tra lo Stato Islamico e i Paesi che combattono l’Islam”, recita un comunicato apparso sull’agenzia di stampa Amaq.
Dai risultati parziali dell’inchiesta è emerso che dalla parte ucraina del confine era stata creata “una finestra” per permettere ai massacratori di allontanarsi. “Hanno cercato di nascondersi e si sono diretti verso l’Ucraina, dove, secondo i dati preliminari, sul lato ucraino è stata preparata una finestra per attraversare il confine di stato”, ha detto Putin nel discorso alla nazione durato 5 minuti e mezzo.
Le autorità ucraine hanno respinto in maniera stizzita qualsiasi tipo di addebito: “Ci aspettavamo la versione dei funzionari russi della ‘traccia ucraina’ nell’attacco terroristico al Crocus City Hall. Primitivismo e prevedibilità sono le caratteristiche ideali dei servizi di sicurezza russi. Qualsiasi tentativo di collegare l’Ucraina all’attacco terroristico è assolutamente insostenibile” e “l’Ucraina non ha il benché minimo collegamento con questo incidente”. Lo ha scritto su X Mikhailo Podolyak, consigliere di Volodymyr Zelensky.
La tesi che collega all’Ucraina i quattro fuggitivi arrestati a Bryansk, fa leva sulla presenza sul posto di uno dei leader delle milizie salafite che hanno insanguinato la Siria. Pochi giorni fa, nella zona di confine tra i due Paesi, vicino alla regione di Belgorod, è stato immortalato Abdulhakim Shishani, leader di una delle formazioni più sanguinarie tra quelle operanti a Idlib, in cui militano terroristi e tagliagole dei paesi ex sovietici. Shishani dal nord del territorio siriano è stato trasferito in Ucraina. E dagli investigatori russi viene considerato un punto di congiunzione tra la direzione principale dell’intelligence del ministero della Difesa ucraino e gli elementi più radicali da lui comandati sul campo di battaglia mediorientale. Secondo russi, siriani e iraniani, il suo gruppo è stato finanziato da Stati Uniti e Gran Bretagna, insieme ai cosiddetti “ribelli moderati” o “partigiani anti-Assad”.
Tra i comunicati di condanna del bagno di sangue, spicca quello del governo ad interim dei talebani, che ha chiesto un’azione coordinata contro il network estremista.
Ferma la posizione del governo italiano, espressa dalla premier Giorgia Meloni: “L’orrore del massacro di civili innocenti a Mosca è inaccettabile. Ferma e totale condanna del Governo italiano a questo efferato atto di terrorismo. Esprimo la piena solidarietà alle persone colpite e ai familiari delle vittime”.


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