Cultura & Spettacolo

Il modello Vicenza, blindata dai bacini, esempio d’Italia

di Ivano Tolettini -


Una città, quella del Palladio, e la sua provincia, blindata dai bacini di laminazione in grado di imprigionare 18,5 milioni di metri cubi d’acqua. Un unicum nazionale. Il primo bacino, realizzato nell’Ovest vicentino nel lontano 1927, fu anche il primo ad essere realizzato in Italia. Adesso ce ne sono cinque, quattro dei quali costruiti negli ultimi anni con un piano voluto dalla Regione dopo il dramma del 2010, quando parte del capoluogo finì in ammollo. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, incontrò “gli angeli del fango”. Le casse di espansione servono per esorcizzare la paura delle piene del Bacchiglione e degli altri corsi d’acqua che innervano una terra ricca di risorgive che danno da bere anche a Padova, e che quando piove forte si trasformano in nemiche con le quali il Vicentino combatte da secoli. Perché l’obiettivo è di realizzare opere di prevenzione idraulica per salvaguardare il territorio dalle continue emergenze per non pagare gli ingentissimi danni, anche in termini di vite umane. Questo è tipico di chi la prevenzione la mette in pratica con lungimiranza per potere dire presente quando avrebbero potuto accadere i disastri, ma sono invece stati evitati. Disastri che con il cambiamento climatico si registrano con frequenza stagionale. Come appunto le alluvioni, che periodicamente violentano il Belpaese, perché troppo cementificato oppure poco manutenuto. Vicenza, la città raccontata da Guido Piovene e Virgilio Scapin, per affrontare le avversità meteorologiche in maniera (quasi) definitiva è diventata un modello in Italia. A dirlo è Luca Zaia, che guida la Lega del fare, lo ripete con orgoglio. Lo scorso 24 febbraio la città è rimasta col fiato sospeso, temendo di essere di nuovo sommersa dall’alluvione come 14 anni prima, ma i bacini ultimati l’hanno tenuta quasi tutta all’asciutto. Giovedì scorso è stato inaugurato il terzo bacino di laminazione, quello a nord di viale Diaz nel capoluogo, col sindaco Giacomo Possamai che adesso punta anche al bacino a sud della città per imbrigliare il Retrone, che un mese e mezzo fa ha fatto le bizze mettendo paura a un paio di quartieri, prima di ritirarsi. “Dimostriamo all’Italia – spiega il governatore Zaia – che questo è il metodo da seguire, appunto costruire le opere per non essere costretti poi alla conta dei danni”. Dal 2010 quando il centro storico finì sott’acqua la Regione ha messo in piedi una sorta di “Piano Marshall” da 2,7 miliardi di euro per realizzare 53 bacini, una parte dei quali già completati. Parlando con i cronisti Zaia rivolge un appello a Roma, alla premier Meloni. “Con un altro miliardo potremmo realizzare quei bacini in Veneto dimostrando all’Italia che questo è il modello da seguire, realizzare le opere per non pagare le conseguenze”. La strategia per blindare la città è passata attraverso la realizzazione dei bacini di Caldogno, sul fiume Timonchio, di Costabissara, sul torrente Orolo e appunto di viale Diaz. “Quest’ultimo bacino – argomenta l’ing. Gianpaolo Bottaccin, assessore regionale alla Difesa del suolo – è composta da cinque casse, è costata 19,1 milioni di euro e può ricevere fino a 1,2 milioni di metri cubi d’acqua”. Con le altre due casse argina 6 milioni di metri cubi che in caso di emergenza altrimenti travolgerebbero la ricca città e il suo tessuto industriale corroborato da migliaia di aziende con conseguenze inimmaginabili. Se consideriamo anche i 9 milioni di metri cubi d’acqua che possono essere anestetizzati dal bacino di Montebello e quelli dell’altra cassa di laminazione di Trissino da 3,5 milioni sulle rotte dell’Agno-Guà, inaugurata un mese fa, la provincia di Vicenza fa registrare un record non solo italiano. Zaia e Bottacin spiegano che per il Vicentino la realizzazione dei bacini non è finita. “Adesso vogliamo mettere mano a quelli di Sandrigo-Breganze e di Torri di Quartesolo nel bastione est della provincia, pianificando anche quello di Meda nell’Alto Vicentino e quello di Sovizzo sul torrente Onte – dicono decisi – Solo così questi interventi strutturali oltre che mettere al sicuro uno dei territori più produttivi d’Italia, permetteranno di evitare quella gestione del post emergenza che sfianca le già preoccupate casse pubbliche”. Perchè l’esperienza dimostra che ogni euro speso in prevenzione ritorna come investimento produttivo anche sul piano sociale.


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