Editoriale

Il paradosso delle manette

di Tommaso Cerno -


Il paradosso delle manette. Forse questa è la volta buona anche per l’Italia. E’ servito vedere Ilaria Salis ammanettata sullo schermo della tv per cominciare, Prodi in testa, la staffetta a chi arriva primo in fatto di dignità del detenuto. E se quelle immagini potevano suonarci forti, ma non siamo il solito Paese di ipocriti, dobbiamo ricordarci chi siamo e in che stato versa la giustizia, il garantismo, le carceri, l’utilizzo pubblico delle manette nell’Italia figlia di Tangentopoli.

Non voglio scomodare Enzo Tortora, simbolo imperituro, ma morto di ingiustizia, di come un Paese possa calpestare qualunque diritto e qualunque dignità, oltre che la più semplice verità. Basterebbe lui per trasformare le parole di chi ha chiesto al sistema giudiziario ungherese (che non è Orban , salvo per gli appassionati di dittature) di correggere la propria affermazione nel seguente modo: l’immagine di Ilaria Salis in manette è vergognosa, come è stata l’Italia molte volte, troppe, lo sappiamo bene noi che abbiamo trasformato quell’aggeggio di metallo nel simbolo stesso della Seconda repubblica, mostrandolo in televisione, agitandolo in Parlamento, invocandolo con conseguente lancio di monetine ferrose contro l’ex premier Craxi nel centro di Roma e che continuiamo su questa strada con gogne mediatiche costanti, innocenti in galera per decenni senza che nessuno paghi per i suoi errori.

Noi che annoveriamo un elenco drammatico di delitti di Stato nelle carceri. Dalle gabbie dei penitenziari borbonici che accolgono anche imputati senza ancora una condanna come animali. Noi che abbiamo il record del sovraffollamento, celle da due persone riempite con otto carcerati. Noi che l’unico signore che abbiamo accompagnato in carcere con eleganza è il pluriomicida, capo della mafia, trattativista con lo Stato, Matteo Messina Denaro, scortato in diretta televisiva verso l’auto civetta con i polsi liberi. Mentre ricordiamo Enzo Carra, divenuto il simbolo dei manettari che hanno trasformato Tangentopoli da una inchiesta che faceva pulizia in un Paese corrotto a un esperimento di Stato-magistrato che ci accompagna ancora oggi.

Ecco, se Ilaria Salis farà l’affetto di dirci tutta la verità, e cioè che quell’immagine ci ha dato fastidio perché ci siamo rispecchiati in lei, in quei modi, in quell’esibizionismo giudiziario che tanto ci è caro, allora c’è da credere che l’appello italiano sia sincero, c’è da augurarsi che sortisca effetto in Ungheria e soprattutto che metta la parola fine alle prevaricazioni continue che avvengono qui da noi, nel Paese famoso per criticare gli altri e non guardare mai in casa propria.

Ma non sarà così. Noi ci indigneremo per Ilaria Salis e ce ne fregheremo altamente della nostra mala giustizia, riempiremo ancora televisioni e giornali di quelle stesse immagini, guarderemo sempre là fuori e mai risolveremo i disastri in casa nostra. E’ questo che deve fare il governo. Deve chiedere dignità ed equità per Ilaria Salis e, di conseguenza, per tutti quelli come lei, sopraffatti dalle accuse e resi inerti di fronte al potere di polizia, verso uno Stato dove i colpevoli pagano dopo le sentenze. Mantenendo la dignità di uomini e donne. Considerati innocenti fino all’ultimo grado di giudizio.


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