Per risparmiare (scarsi) due miliardi non si mette a rischio la credibilità di (ciò che resta) del sistema
Il pasticciaccio delle pensioni sarà sanato. Parola di Giorgia Meloni, che s’è presa l’impegno di correggere quella parte dell’emendamento del governo che ha fatto insorgere, giustamente, mezza Italia. Sarà sanato ma il pasticcio è fatto. Perché, su certe cose, occorrerebbe andarci davvero coi piedi di piombo. Ne va della certezza del diritto che non è mica questione che sta in piedi solo nei tribunali che s’occupano del penale. Quando si ha a che fare coi sacrifici delle persone, con il domani che si costruiscono – al prezzo di rinunce amare di oggi – c’è poco da scherzare. C’è pochissimo da lasciar giochicchiare le solite manine, ammesso e non concesso che sia colpa loro. Perché è così che le istituzioni, cambiando in corsa le regole del gioco, perdono credibilità. E ci si ritrova, poi, a dover rincorrere gli elettori imbufaliti, delusi e arrabbiati che alle urne non ci vanno più nemmeno sotto qualsiasi delle minacce che, di volta in volta, un dibattito politico orientato allo slogan e non ai contenuti, mette sul banco per esercitare il richiamo al proprio elettorato di riferimento.
Il pasticciaccio delle pensioni: due miliardi non valgono la pena
Il tema delle pensioni rimane un guazzabuglio. Costoso, per carità. Un problema che impatta innanzitutto sulla tenuta di un sistema intero. Ma, stando alle previsioni della Ragioneria generale, rendere più ostico l’accesso alla pensione agendo sulle finestre mobili e sul riscatto della laurea, farebbe risparmiare alle casse dello Stato poco meno di due miliardi di euro. Son soldi, per carità. Ma pochi se si pensa che, solo ieri, il Consiglio di ispezione e vigilanza Inps ha approvato il bilancio preventivo 2026 che prevede entrate contributive per poco meno di 300 miliardi e assegni pensionistici da pagare per circa 429 miliardi. Si capisce che due miliardi non cambiano granché la situazione specialmente se si pensa che il prezzo da pagare sarebbe quello di picconare la credibilità di un sistema su cui, detto sottovoce, una generazione intera non nutre più chissà che fiducia. A quanti anni occorrerà andare in pensione, dal momento che per trovarlo, un lavoro, ci si è consumati tra precariato, cococo e chissà quante altre diavolerie contabili?
Il caso condominii, un altro (potenziale) inghippo
Il caso delle pensioni, un pasticciaccio, rientrerà non appena il governo sanerà il vulnus. Le sigle dei medici, intanto, hanno già annunciato che se Meloni non terrà fede alle sue promesse riempiranno i tribunali di ricorsi. E vagli a dare torto. E chissà a quanti di loro non verrà voglia di seguire le sirene che arrivano dall’estero, lasciando la sanità pubblica (esiste ancora?) completamente sguarnita. Il tema è politico, dunque, prima che economico. E non può essere lasciato alle manine. Così come non può essere sottovalutato nemmeno quel codicillo che vorrebbe estendere a carico dei condomini onesti l’onere di pagare pure per i morosi. Saremmo alla collettivizzazione dei millesimi, roba che per garantire i pagamenti ai fornitori finisce per realizzare una misura da socialismo (ir)reale. Non proprio ciò che ci si aspetterebbe da un governo di centrodestra. Non c’è da stracciarsi le vesti. L’emendamento alla manovra è un cantiere aperto, nonostante il tempo stringa. Lo è pure la riforma dei condominii. C’è modo e occasione per aggiustare. Ma, forse, a certe cose sarebbe meglio pensarci un pochino prima.