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Il piano anti Giorgetti 

di Redazione -

GIANCARLO GIORGETTI MINISTRO


Quanto accaduto a Montecitorio sul Def , in meno di 48 ore, non era del tutto imprevedibile. Già a novembre 2022 era stata paventata l’ipotesi di un incidente di percorso sulle questioni di bilancio ed in ordine ad assestamenti finanziari vari. Si ipotizzava, all’epoca, che il tutto potesse accadere in sede di Nadef (settembre), ma non ad aprile. Meloni, giustamente, dopo la notizia appresa mentre era a colloquio con l’omologo Sunak in UK, ha stemperato su quanto accaduto lasciando, però, presagire la necessità di fare “una valutazione ulteriore”. Valutazione, quest’ultima, che non può che prendere atto di alcune premesse logiche nella maggioranza ovvero: la leadership di Meloni nel centrodestra; la credibilità di governo della Lega che, per forza di cose, passa dalla relazione tra Salvini e Giorgetti. In questo quadro si innestano due problematiche: una derivata dal passato, ovverosia il taglio dei parlamentari accompagnato dalla legge elettorale vigente; l’altra sopraggiunta in corso d’opera (dopo l’approvazione della legge di bilancio n. 197/2022) e cioè l’autonomia differenziata. Che incidenza hanno le cose elencate con l’inciampo del Governo avvenuto a Montecitorio ? Molto sottile, ma non indecifrabile. Con un Parlamento a 945 sarebbe stata, probabilmente, un’altra storia, ma sarebbe stata anche di altro risvolto l’ultima esperienza elettorale. Cosicché il problema dei parlamentari in missione unito alle assenze (strategiche o meno) dei deputati in quota governativa, è di fatto una espressione maldestra degli effetti del “taglio parlamentari” tanto che è stata la stessa Meloni ad affermare che “ci sono persone che ovviamente fanno più cose”. Chi ha voluto il taglio parlamentari e chi lo votò nonostante le spaccature interne od addirittura (in qualche caso) il dissenso palese è risaputo, ma se questo ha portato a far emergere chi lavora di più e chi meno, allora, delle due l’una: o c’è un problema di metodo nella scelta della classe dirigente da portare in Parlamento ed al Governo; oppure c’è un distinguo che dalle parole di Meloni si percepisce velatamente. Quanto al tema del metodo è evidente che se c’è chi lavora di più e chi meno, allora, che si faccia chiarezza perché il Paese non può aspettare né può perdere tempo, denaro e percorso politico rispetto agli altri. Il distinguo di Meloni, invece, opera su due fronti: affermare, da una parte, che FdI non mina il posizionamento di Giancarlo Giorgetti quale espressione della quota leghista al timone di un ministero strategico dello scacchiere di Palazzo Chigi; allertare, dall’altra parte, che se c’è qualcuno che vuole far saltare Giorgetti dalla sedia del Mef per mettere in cattiva luce il Governo e la capacità di tenuta meloniana di quest’ultimo, allora, si faccia avanti. Ma si badi bene che la tenuta del Governo è cosa diversa dalla tenuta di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. È così che la defaillance sul Def rischia di anticipare un infuocamento interno alla maggioranza la cui miccia è tutta endogeno-leghista perché Salvini deve garantire per tutto l’arco di tempo necessario a rivitalizzare il partito che gli investimenti sulle infrastrutture siano, realmente, fattibili come promesso in occasione dell’autonomia differenziata. Il tutto (strategicamente) senza far passare all’opinione pubblica il messaggio di delegittimare Giorgia, ma consumandone l’immagine facendo pensare che non abbia il polso del coordinamento governativo. C’è qualcuno con l’aspirazione di piazzare a Palazzo Chigi il primo premier leghista della storia repubblicana in futuro? Nulla è da escludere, ma di certo Meloni ha dalla sua che il mondo liberale, riformista e democratico la osserva attendendo di capire se mai farà un passo liberatorio: il Governo Meloni II dopo le europee dell’anno prossimo. Chissà, forse incamerando in maggioranza forze fresche che non vivono costantemente con la paura di finire come il grillismo pre-contiano. Eppure col grillismo, c’è chi ci ha fatto un bel Governo. A contratto. Ripescando indietro nel tempo, ma guardando al futuro non troppo lontano, Calenda potrebbe tornare a parlare con Meloni sempre se l’area liberal-democratica-riformista dovesse unirsi. In attesa di sapere qualcosa dall’Europa sul Def, sarebbe interessante capire quale ulteriore valutazione farà nelle prossime ore Meloni. Prima fra tutte, si ipotizza, iniziare a sondare esperti per gli investimenti infrastrutturali. Lo scostamento votato a Montecitorio, d’altronde, lo grida ad alta voce seppure in giorni diversi.

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