Politica

“Il trend di FI atteso, siamo il baluardo al populismo leghista”

di Ivano Tolettini -


La Lega alle regionali appare in caduta libera. Matteo Salvini al di là delle parole d’ordine (“lavoriamo per un centrodestra unito ovunque”, “il Veneto è e resterà orgogliosamente leghista”, “mi piacerebbe candidare Vannacci. Abbiamo tanti amministratori, tanti imprenditori senza tessera di partito in tasca, e perché no, con un generale dell’esercito che ha combattuto in mezzo mondo per l’onore del nostro Paese, e ha tutto il diritto di scrivere libri e di candidarsi”) non è sereno. I tamburi di protesta suonati dal suo popolo li sente, eccome. La base dopo il responso delle urne in Sardegna ed Abruzzo è in subbuglio, soprattutto nel Veneto, un tempo fieramente leghista perché capace di riportare Zaia nel 2020 alla guida della Regione col 70% dei consensi (bulgari), ma crollati due anni dopo alle politiche al 14% rispetto al 34 del ’19. È per questo che la gente di fede serenissima chiede la convocazione di quel congresso federale che il segretario nega per aprile, poiché al massimo se ne riparlerà dopo le europee. Intanto Forza Italia, data al collasso e scalabile dopo la scomparsa del fondatore Berlusconi, come l’Araba Fenice risorge e in Abruzzo doppia gli alleati del Carroccio. Così Flavio Tosi se la gode. Per 25 anni è stato “lighista” doc prima di essere espulso da Salvini nel 2015 ed essere approdato sul litorale azzurro nella primavera 2022. Adesso egli afferma che “il trend positivo non è una sorpresa”, mentre il segretario Antonio Tajani osserva che “vogliamo aggregare l’area che sta fra Meloni e Schlein, che è molto vasta e che cerca rappresentanza”. Per questo FI “è aperta ad accordi politici con tutti coloro che condividono i nostri stessi valori e la voglia di portare avanti battaglie per la giustizia, per la riduzione delle tasse, per una politica estera seria”. Del resto quando Tosi passò sotto le insegne del Cavaliere non le mandò certo a dire ai vecchi compagni di viaggio politico. “Oggi Forza Italia – spiega il parlamentare che per dieci anni è stato sindaco di Verona – è la casa naturale senza populismi, l’unico baluardo di pragmatismo e capacità di governo”. Il suo mantra è che la “Lega ha scelto di essere populista e questo cozza evidentemente con la capacità di governo”. Se il politologo trevigiano Paolo Feltrin, con cattedra all’Università di Trieste, che come pochi segue l’area leghista dal suo nascere è convinto che è “presto per dare finito Salvini anche se è inciampato due volte: quando ha staccato il filo del governo Conte 1 e quando ha sostenuto l’esecutivo Draghi, di certo Meloni ne ha tratto vantaggio perché per la forte rendita di opposizione e perché non ha subito cadute, ma dobbiamo fare attenzione che questo 21° secolo è quello della volatilità elettorale che ha investito tutti i leader, ne riparliamo al suo primo inciampo”. Sempre che ci sia. Nel frattempo i luogotenenti della premier in Veneto, a cominciare dal proconsole Luca De Carlo che molti indicano come il possibile successore di Zaia qualora il terzo mandato dopo il 9 giugno rimanesse lettera morta, si spendono per invocare l’unità del centrodestra come valore aggiunto che assicura il futuro politico. Ieri parlando con i cronisti Luca Pavanetto, autorevole consigliere regionale di FdI, ai microfoni della Tgr ammoniva di “puntare al Veneto dopo Zaia con FI nell’alleanza” alla luce dei risultati del 2022 che ritiene saranno confermati in giugno, mentre il presidente dell’intergruppo Lega-Liga Veneta, Alberto Villanova, non fa mistero di puntare al “quarto mandato per Luca Zaia che è sinonimo di buon governo, dunque non si vede il motivo per non rinnovarlo come chiede il popolo veneto”. Dunque le conseguenze del voto di giugno non saranno circoscritte al perimetro di Bruxelles, ma avranno ricadute anche a livello locale. Tosi è sicuro. “Il trend mostrato in Abruzzo è in linea per Forza Italia nel resto del Paese – analizza – dunque non è una sorpresa”. Pertanto, sottolinea che “sarà quel voto a rappresentare la misura per tutti in coalizione e dal quale si ripartirà. Se quel trend sarà confermato ci sarà un partito indiscutibilmente più forte, FdI, e poi Forza Italia”. Quanto al tonfo leghista che due anni fa ha ceduto le storiche roccaforti ai meloniani, l’ex primo cittadino scaligero si mostra in apparenza distaccato, anche se non gli dispiace. “Ho militato dal 1990 nella Lega – dice – e ne ho visti di alti e bassi”. Non disdegna di dare una sbirciata nella sua ex casa politica e invita l’europarlamentare Gianantonio Da Re, fresco di espulsione per avere attaccato duramente Salvini, “a passare in FI così lo ricandiremo alle europee perché lo stimo molto: è politico e amministratore di provate capacità”.


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