Esteri

Il viaggio di Meloni nel Paese diviso in due. Dove Tripoli non dialoga con Tobruk

di Redazione -

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni


di EMANUELE DESSÌ
Domani la pemier Meloni sarà in viita ufficiale a Tripoli, accompagnata da una delegazione particolarmente importante, ovvero dal ministro degli Esteri Tajani e dal ministro dell’Interno Piantedosi. La visita vuole andare a rafforzare i rapporti commerciali tra i due Paesi, ma soprattutto tra l’Eni – che ha a Tripoli sede, uffici e unità operativa – e le società petrolifere libiche, per ampliare e stabilizzare le forniture di greggio e cominciare a improntare un discorso sul gas che possa mettere in sicurezza l’economia e il benessere degli italiani vista la mancanza del gas russo. Ma c’è probabilmente un equivoco di fondo: c’è da chiedersi se i tre nostri maggiori esponenti del governo siano così poco preparati dal punto di vista geopolitico da non sapere quale sia la situazione reale in quell’area del Mediterraneo. Potrebbero, più facilmente, essere male informati o intimati a non dire la verità. Perché la Libia in questo momento è spaccata in due parti. Da un lato la Tripolitania che fa capo a un governo illegittimo, non votato da nessun libico, ma instaurato dalla Nato con l’appoggio militare della Turchia e dei Paesi europei. Un territorio che rappresenta il 20% dell’area, una parte importante perché possiede i terminali delle stazioni petrolifere, ma che allo stesso tempo non dispone della proprietà di neanche un litro di greggio. L’altra parte, è quella del leader Fatih Bashagha, quella di Tobruk e quindi di un governo legittimato dal parlamento di Bengasi e quindi dall’80% della popolazione. Un governo che ha già richiamato, attraverso le parole del premier, a un ripensamento. Da Bengasi si sono detti sorpresi di vedere la nostra Premier, con uno schieramento così importante, andare a conferire con un governo che ritengono – e che effettivamete è – illegittimo, e soprattutto a tempo scaduto, poiché è ormai tempo che la situazione si sani una volta per tutte. In ambedue le fazioni della Libia la stragrande maggioranza vorrebbe evitare ulteriori spargimenti di sangue e vorrebbe evitare soprattutto le interferenze. Interferenze che ci sono state recentemente quando, pochi giorni fa, uno dei più importanti capi dei servizi segreti americani, si è recato il Libia per parlare con entrambi i leader delle fazioni. L’obiettivo risaputo è quello di arrivare a delle elezioni, però la volontà da parte della Nato (con Usa e Gran Bretagna in testa) è quella di eliminare la presenza di Saif Gheddafi, perché in caso di elezioni – sia quelle che sarebbero dovute esserci, sia quelle che ci saranno – è dato per vincitore assoluto, senza competitor. Per questo, il premier di Tobruk si è visto interdetto di fronte alla presenza della Meloni. Poiché, nel momento in cui ci sarà la risoluzione di questi temi e si arriverà alle elezioni, oppure, disgraziatamente a una recrudescenza del conflitto con le truppe del maresciallo Haftar a riprendersi a Tripoli il restante 20% della Libia, tutti i contratti stipulati verranno stracciati. Non solo, coloro che hanno cercato di scavalcare il governo legittimo, dopo la risoluzione del conflitto, verranno probabilmente emarginati dalla ricostruzione della Libia. Ricostruzione che invece dovrebbe vedere l’Italia protagonista: in Libia ci siamo stati per anni, in maniera disgraziata e maledetta in epoca fascista, ma anche in fase post-bellica, quando abbiamo partecipato alla ricostruzione e dato lustro con la nostra presenza economica e commerciale. Abbiamo un rapporto di popoli privilegiato. Ora sarebbe il momento d ricostruire gran parte della Libia distrutta dalla follia dell’Isis. Come Paese potremmo dare una mano: Giorgia Meloni potrebbe fare qualcosa di unico dopo la stupidaggine dell’obbedienza alla Nato e alla follia bellicista statunitense. Potrebbe immaginare di agire sul nostro Mediterraneo con un’operazione indipendente. E quindi dopo aver visitato Tripoli, di recarsi attraverso l’interlocuzione dell’ambasciatore e del console a Bengasi, al cospetto del governo legittimo e votato di Tobruk e parlare, con il premier, del futuro. Dalle materie prime che potremmo avere da qui ai prossimi decenni, ma anche e soprattutto degli imprenditori italiani che potrebbero dare a una popolazione che ha sofferto l’aiuto di cui ha bisogno. È quello che ci si aspetta da un governo che si definisce sovranista e cioè che guarda agli interessi del proprio popolo e della propria area geografica di riferimento.

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