Giustizia

IN GIUSTIZIA – Il problema del disagio psichico nelle carceri

di Francesco Da Riva Grechi -


La celebrazione dei 208 anni dalla fondazione del Corpo della Polizia Penitenziaria, alla presenza di tutte le Autorità Istituzionali, del Capo della Stato e del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, ha dato l’occasione per un’ulteriore riflessione su un problema in realtà di quotidiana drammatica urgenza a tutti i livelli: la sofferenza del sistema carcerario italiano. In particolare, il Ministro Nordio ha ricordato tutte le “vittime nell’adempimento del dovere e i loro familiari, non solo i deceduti ma anche i feriti” nelle aggressioni, che definisce “intollerabili, e per le quali speriamo sia fatta al più presto chiarezza e giustizia”. Non può esserci trattamento finalizzato alla rieducazione per il reinserimento sociale del detenuto se mancano sicurezza e ordine all’interno degli istituti di pena, ha ricordato ancora Nordio, Questo dunque il punto di partenza secondo il governo che ha sempre mantenuta alta l’asticella dell’attenzione sul problema anche quando si è discusso animatamente di riforma della giustizia. La popolazione straniera all’interno delle carceri è superiore in proporzione rispetto a quella dei detenuti locali ed è nell’ambito della prima che cresce la violenza in maniera preoccupante soprattutto contro gli agenti oltre che nei confronti degli altri detenuti. Una situazione che è diventata insostenibile, tanto che sono numerosi i poliziotti che arrivano alle dimissioni, stanchi e impauriti da quel che accade. Denuncia l’OSAPP, l’organizzazione sindacale della Polizia Penitenziaria che il problema dei suicidi ormai è diventato un’emergenza anche con riferimento agli agenti oltreché ai detenuti. Il Governo è già intervenuto, alcuni mesi fa, a difesa di costoro, con l’istituzione del GIO – Gruppo d’Intervento Operativo – del Corpo di Polizia penitenziaria (e dei relativi Gruppi d’Intervento Regionali) e ciò ha raccolto il plauso del sindacato. A parte le rivolte vere e proprie, che sono ipotesi eccezionali, il problema più grave che determina sempre più disagi e danni di varia entità in termini fisici e morali, oltre che di natura giudiziaria, a discapito degli addetti del Corpo, sono sempre le aggressioni (ben oltre il migliaio annuo) che avvengono praticamente ogni giorno nelle varie infrastrutture dell’Amministrazione e rispetto alle quali non erano mai state assunte iniziative di natura preventiva o repressiva, ivi compresi i provvedimenti ai sensi dell’articolo 14 o.p. ovvero riguardanti il contrasto e la cura dei fenomeni della tossicodipendenza e del disagio psichico. Quest’ultimo, in particolare, stante l’evidente fallimento delle REMS – Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza – è un ulteriore motivo di allarme a causa della sua continua crescita. L’Osservatorio di Antigone ha evidenziato che il 12% delle persone detenute (quasi 6.000 persone) ha una diagnosi psichiatrica grave (l’anno scorso era il 10%). La percezione diffusa tra gli operatori è che le patologie psichiche tra la popolazione detenuta siano in continuo ed esponenziale aumento e che gli strumenti e le risorse a disposizione per trattarla siano sempre più scarse e inadeguate. L’aumento è dovuto sia alla maggiore presenza di detenuti che provengono dalle carceri libiche, dalle quali escono e migrano verso l’Italia, dove approdano nelle carceri italiane e tra i quali gli episodi di autolesionismo, di violenza ed i suicidi sono enormemente maggiori, sia per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici giudiziari, che hanno smesso di esistere per legge nel 2014 e per davvero nel 2017. Gli Opg erano infatti l’ “istituzione di scarico” a cui inviare le persone detenute con disagio psichico di più difficile gestione. A partire dalle l. 9/2012 e, poi, definitivamente, con la l. 81/2014, tali persone dovrebbero invece essere “curate” all’interno del sistema penitenziario, nel sovraffollamento generale e in condizione di totale promiscuità con gli altri carcerati.


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