Intelligenza artificiale, miliardi veri: l’intesa monstre Amazon-OpenAi
Il matrimonio dell'anno, il ruolo di Nvidia. L'America difende il suo ultimo primato, l'Europa annaspa
Amazon e OpenAi, ovvero quando l’intelligenza artificiale fa girar la testa. Se non altro, perché in ballo ci sono cifre così alte da far impallidire persino la manovra, per quanto sia striminzita, che il Parlamento italiano si appresta a varare. Mentre i governi tirano la cinghia, le major digitali spendono e spandono come se non ci fosse un domani. E, a ogni spesa, corrisponde un guadagno: uguale ma non contrario. A differenza della reazione “uguale e contraria” del terzo principio della dinamica di Newton, qui più si sborsano denari e più se ne incassano in borsa.
Amazon e OpenAi un matrimonio danaroso
L’ultima notizia che arriva sul fronte hitech riguarda il colossale accordo reso noto ieri tra OpenAi e Amazon. Si tratta di un’intesa pluriennale da 38 miliardi di dollari. Per capirsi, quasi tre ponti sullo Stretto di Messina e senza alcuna Corte dei conti a snocciolare dubbi. Si tratta di un’alleanza che consentirà all’azienda guidata da Sam Altman di appoggiarsi alle strutture digitali al servizio del colosso caro a Jeff Bezos. Ma non c’è due senza tre. Nemmeno negli affari. E così Altman, in pratica, paga per usare i data center di Amazon Web Services e di “accedere rapidamente” ai chip prodotti da Nvidia, la prima azienda che sia riuscita nell’impresa di valere, sui mercati azionari, più di 5mila miliardi di dollari in termini di capitalizzazione. Inoltre, OpenAi potrà usare le Cpu di Bezos per sviluppare app di intelligenza artificiale agentica, quella cioè che promette di completare da sola compiti complessi. In pratica, l’Ai che fa tutto da sé. È bastato l’annuncio, chiaramente, per far schizzare il valore delle azioni di Amazon che, in un lampo, hanno guadagnato poco più di 4 punti percentuali giungendo a valere l’equivalente di oltre 220 euro l’una. All’annuncio, ne ha fatto seguito subito un altro.
Microsoft rilancia: la guerra dei comunicati
Da parte di Microsoft che, avendo in passato ritenuta “sua” OpenAi, c’ha un po’ il dentino avvelenato con Altman. Anche perché, a sua volta, la notizia dell’intesa Amazon-OpenAi aveva fatto passare in secondo piano quello, analogo, legato all’intesa tra Microsoft e Iren, che gestisce servizi di Ai in cloud, per l’accesso ai chip Nvidia. Accordo da “soli” 9,7 miliardi. Ebbene, da Redmond, è arrivato pure il rilancio: Microsoft ha ottenuto l’ok dalla Casa Bianca per esportare chip (chiaramente prodotti e griffati Nvidia) in Qatar. E in più investirà, in Medio Oriente, qualcosa come otto miliardi di dollari per impiantare in loco data center, cloud computing e altri progetti di intelligenza artificiale nei prossimi quattro anni.
L’ultimo primato americano
Insomma, archiviata la stagione della transizione green adesso tutte le forze del capitalismo finanziario si stanno riversando sulla corsa hitech e, in particolare, su quella all’intelligenza artificiale, l’ultima ridotta della primazia, riconosciuta, degli Stati Uniti nel mondo. Ma tutto questo è ancora nulla rispetto alle voci, sempre più insistenti, che parlano di un’imminente quotazione proprio di OpenAi. Come sempre accade nel rutilante (e ipocrita) mondo della Silicon Valley, agli originari obiettivi di equità e all’ostentato disprezzo verso l’arricchimento facile, corrisponde una volontà di potenza, o se preferite un’avidità, assolutamente irrefrenabile. Come riporta Reuters, infatti, Altman sarebbe intenzionato a valutare ben oltre il trilione di dollari la “sua” (ex) fondazione. Sarebbe solo un punto di partenza, va da sé.
L’Europa in offside
Queste cifre favolose mettono l’Ue sotto pressione. Nessuno, nel Vecchio Continente, ha le fiche né tecnologiche né di capitali per sedersi al tavolo. E, anzi, rischia di farsi soffiare alcune delle (poche) pedine che rimangono. Il caso Nexperia, per esempio. L’azienda olandese di semiconduttori in cui hanno investito i cinesi e che Amsterdam ha tentato di riprendersi applicando leggi risalenti ai tempi del Muro di Berlino. Una mossa che si è subito ritorta contro l’Ue dal momento che Pechino ha imposto il ban all’export di chip fondamentali per ciò che rimane dell’automotive europeo. A Bruxelles, poi, hanno (pure) un altro problema: OpenAi, a prescindere dall’ultima intesa con Amazon, è cresciuta tanto da rientrare nell’applicazione del Dsa oppure rimarrà soggetta al solo Ai Act? Se tutto va bene, dicono da Politico, ci vorrà almeno un anno per dipanare la matassa. Intanto, chissà dove saremmo arrivati. Forse la bolla dell’Ai sarà già scoppiata, forse no. Di sicuro, però, l’Europa resta a guardare mentre gli altri fanno soldi.
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