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Israele colpisce l’Iran: una nuova fase di guerra preventiva scuote il Medio Oriente

Raid aerei su siti nucleari, morti illustri tra i pasdaran e la minaccia di rappresaglie: cosa c’è dietro l’operazione “Rising Lion” e quale futuro geopolitico si profila

di Michel Emi Maritato -


Israele colpisce l’Iran: una nuova fase di guerra preventiva scuote il Medio Oriente

Un attacco di precisione, ma dal potenziale devastante. All’alba, Israele ha lanciato un’offensiva aerea senza precedenti contro il cuore della struttura nucleare e militare iraniana.

L’operazione, battezzata Rising Lion, ha coinvolto più di 200 velivoli e ha preso di mira obiettivi chiave nei siti di Natanz, Arak, Isfahan e Teheran, causando gravi danni strutturali e la morte di personalità di primo piano tra i Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC).

Tra le vittime figurerebbero il comandante dell’IRGC, Hossein Salami, e l’alto ufficiale Mohammad Bagheri, oltre a due importanti scienziati coinvolti nei programmi di arricchimento dell’uranio. Un segnale chiaro: Israele non aspetterà che l’Iran diventi una potenza nucleare, e intende usare tutti i mezzi per impedirlo.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’attacco «un’azione difensiva preventiva, necessaria per evitare una minaccia esistenziale». L’operazione sarebbe stata pianificata con mesi di anticipo, ma senza un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, che – pur informati – avrebbero scelto di non ostacolarla. Quello in corso non è solo un confronto militare: è uno snodo geostrategico che può ridefinire gli equilibri regionali e globali.

I raid su Natanz e Arak – siti considerati critici dall’AIEA – mirano a ritardare (se non a distruggere) la capacità iraniana di sviluppare armamenti nucleari. Il danno simbolico è enorme, ma sul piano tecnico l’efficacia resta da verificare, considerando che parte degli impianti si trova in profondità. L’Iran potrebbe rispondere con attacchi mirati attraverso Hezbollah, i miliziani sciiti in Iraq, i ribelli Houthi in Yemen, oppure cellule dormienti in Occidente. Una guerra a bassa intensità, diffusa e difficile da contenere. Washington smentisce ogni partecipazione diretta, ma resta evidente il coordinamento informale. Il conflitto complica la già fragile ripresa dei negoziati per un nuovo accordo sul nucleare iraniano, congelati ormai da mesi.
I mercati petroliferi hanno reagito con nervosismo: il prezzo del Brent è salito sopra i 75 dollari al barile, alimentando i timori di una crisi energetica. L’instabilità nella regione potrebbe compromettere il traffico marittimo nel Golfo Persico e nello Stretto di Hormuz.

Le previsioni possibili potrebbero essere tre: un escalation regionale generalizzata, diretta tra Iran e Israele, con possibili coinvolgimenti di Siria, Libano e milizie regionali. Un conflitto asimmetrico prolungato: una guerra quindi per procura con attacchi selettivi, sabotaggi e operazioni cibernetiche, infine: una de-escalation negoziata con pressioni internazionali, soprattutto da USA e UE, per un cessate il fuoco condizionato.

L’attacco israeliano non è un semplice episodio di guerra aerea: è il segnale di un nuovo ordine strategico in Medio Oriente. Un messaggio al mondo, un punto di non ritorno. L’Iran dovrà ora decidere se rispondere con forza, accettando il rischio di un conflitto aperto, o attendere il momento giusto per la vendetta. L’intera regione è sull’orlo del baratro, e l’Occidente osserva, consapevole che da queste ore può dipendere il futuro degli equilibri globali.


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