Ita e Lufthansa, alfin giunse l’intesa. Un matrimonio così accidentato non si vedeva dai tempi di Renzo e Lucia. Eppur s’è fatto. Finalmente. Dopo l’ultimo rinvio, che ha fatto slittare da lunedì a ieri il closing, tanto sospirato, tra Lufthansa e Ita. Nel pomeriggio di ieri, l’assemblea dei soci della compagnia sorta dalle ceneri della fu Alitalia, ha decretato l’accordo. Il consiglio d’amministrazione, dove avrebbero dovuto sedere in tre, sarà composto da cinque persone. La presidenza sarà affidata dell’organismo sarà affidata a Sandro Pappalardo. Friulano, 57 anni, già pilota militare, consigliere dell’Enit e già assessore regionale in Sicilia a turismo, sport e spettacolo. L’ok alla nomina sarebbe giunto all’esito di lunghe e laboriose trattative sbloccatesi soltanto nella serata di martedì scorso. E che erano state caratterizzate, nei giorni scorsi, dalle dimissioni di Antonino Turicchi proprio dal ruolo di presidente del Cda di Ita. Nessuna sorpresa, invece, per quanto riguarda la poltrona di amministratore delegato. Si tratta di Jörg Eberhart, manager con una lunga carriera in Air Dolomiti di cui è stato prima direttore commerciale, poi Ceo e infine presidente. Un nome caldissimo, quello di Eberhart, che già era stato speso, a luglio scorso, da Carsten Spohr, Ceo Lufthansa. Inoltre, ai tedeschi, andrà anche un’altra poltrona in Cda mentre agli italiani ne andranno due. Per Lufthansa, siederà in consiglio d’amministrazione Lorenza Maggio mentre il Mef ha indicato Antonella Ballone ed Efrem Angelo Valeriani. Ai tedeschi, in cambio di 325 milioni di euro, andrà il 41% delle quote sociali portate in dote da Ita, riservandosi la possibilità, entro il 2029, di acquisire la maggioranza del capitale investendo, prima, ulteriori 325 milioni entro quest’anno e sborsandone, poi, altri 79 quattro anni dopo. Nel frattempo, i tedeschi hanno già annunciato l’intenzione di avviare un piano da diecimila assunzioni. A cui i sindacati guardano con estremo interesse. L’intesa tra Ita e Lufthansa è finalmente decollata.
Una buona notizia per la derelitta Germania. Che, a quanto pare, riesce a fare buoni affari solo quando interagisce con l’Italia. Dall’alleanza tra Rheinmetall e Leonardo fino, appunto, all’accidentato ma finalmente compiuto matrimonio tra Lufthansa e Ita. Ma non ditelo a Commerzbank che, invece, ancora resiste all’assalto di Unicredit coinvolgendo, nella bagarre, oltre ai sindacati anche il governo (uscente) presieduto dal cancelliere, sempre più lontano dalla Bundeskanzleramt, Olaf Scholz. A Berlino tira aria di sconfitta e le buone notizie fanno tirare un sospiro di sollievo dopo le (pessime) notizie giunte proprio ieri mattina dall’agenzia federate di statistica. Nel 2024, il Pil tedesco ha registrato una contrazione dello 0,2%. Per la prima volta, da oltre vent’anni, la Germania per il secondo anno di fila fa i conti con il segno meno davanti ai numeri economici. Nel 2023, difatti, il Pil tedesco era calato dello 0,3%. Ma, allora, si era preferito parlare dei contraccolpi legati ai costi della guerra in Ucraina. Adesso, però, non ci sono più perifrasi che tengano. In pratica, ciò che ci si è pietosamente nascosti, s’è avverato: la ex locomotiva d’Europa s’è fermata ed è entrata in recessione. E, come riferiscono diversi osservatori, tra cui Jens-Oliver Niklasch analista per Landesbank Baden-Wuerttemberg, la recessione continuerà anche nel 2025. Del resto, si sa: non c’è due senza tre. A pesare, sulle prospettive tedesche, sono i costi dell’energia, gli effetti di una politica monetaria disastrosamente rigida (citofonare Bce) e gli sforzi legati alla decarbonizzazione e al green a tutti i costi. A cui s’accoppiano, secondo gli esperti, l’invecchiamento continuo e costante della popolazione e una burocrazia che inizia a diventare un ostacolo insormontabile. Insomma, le “riforme” andrebbero fatte anche in Germania. Il simbolo della disfatta tedesca è tutto nell’automotive. La crisi Volskwagen continua e in ballo restano ben 35mila posti di lavoro mentre si inizia a discutere di togliere tutele e benefit ai dipendenti, puntando così a modificare il modello tedesco di socialità nell’economia. Ma sono i numeri a colpire duro. Audi, per dirne una, ha perduto il primato globale nelle vendite delle auto elettriche a favore di Tesla. Colpa del contraccolpo in Cina della guerra dei dazi innescata dall’Ue proprio sull’auto elettrica e che ha colpito, durissimo, anche Porsche, Bmw e Mercedes. Per la casa dei Quattro Anelli il tonfo è peggiore dal momento che il flop delle vendite si è confermato anche in patria: le vendite, in totale, sono calate, nel 2024, del 12,7% mentre, per Bmw il calo s’è arrestato al 4%. Mercedes, invece, ha limitato le perdite al 3% ma è stata particolarmente bastonata sul mercato asiatico, in Cina infatti, il volume di vendite è calato del 7 per cento. La locomotiva non corre più, s’è fermata. In compenso, gli aerei, tra Berlino e Roma, volano nonostante stop and go, trattative serrate, misunderstanding, rotture e ripartenze.