Economia

La Bce alza i tassi, se la crisi la pagano i poveri

di Giovanni Vasso -

CHRISTINE LAGARDE E MARIO DRAGHI


La crisi, come al solito, la pagano i poveri. E, considerando che ormai i ricchi sono sempre più ricchi ma, soprattutto, sono sempre di meno, vuol dire che la crisi la paghiamo tutti. La scelta della Bce di aumentare, ancora una volta, i tassi di interesse svuota, un po’ di più, le tasche già impoverite degli italiani. Questo perché s’è innescata una spirale finalizzata a togliere denaro dalla circolazione che pesa soprattutto sulle famiglie e sulle piccole e medie imprese. Perché le decisioni prese dall’alto si riverberano sul basso, cioè sul quotidiano, sul vissuto, sul reale.

Ogni qualvolta i banchieri di Francoforte, capitanati da Christine Lagarde, annunciano nuovi rincari, aumenta la rata del mutuo. Se poi, come Salvini, si deve far fronte alle rate di un prestito a tasso variabile, la stangata è ancora peggiore. Il Codacons, l’altro giorno, ha snocciolato i numeri. Il rincaro di un quarto di punto deciso dal board Bce peserà per 15-25 euro su ogni rata mensile. Se vista in prospettiva, la vicenda assume toni allarmanti. Dal 2021 a oggi, infatti, ogni mese di pagano fino a 320 euro in più per una stangata annuale stimata tra i 2.880 e i 3.840 euro. Ma l’aumento del costo del denaro, inoltre, si riflette su chi un mutuo non ce l’ha ma vorrebbe accenderlo. Con meno soldi in circolazione, questi vengono “venduti” a un prezzo più caro. E, per la legge della domanda e dell’offerta, il costo globale aumenta. Con la conseguenza, ovvia, che avvicinarsi al credito, per un comune mortale, diventa un’impresa impossibile. Per le pmi, se possibile, ciò è ancora più drammatico. Già, perché a queste aziende servono i capitali per dotarsi di quelle infrastrutture utili a trasformare i propri processi produttivi. Per restare competitive sul mercato devono fare la transizione green e tech. Altrimenti finiranno presto fuori mercato, oltre che fuori legge. Ma accedere ai prestiti, come ha denunciato nei giorni scorsi, e prima del nuovo rialzo dei tassi, il vicepresidente di Confindustria Emanuele Orsini, diventa sempre più difficile. Il rischio è serio: l’Italia si regge su micro e piccole imprese. Senza, il Paese perde la sua spina dorsale produttiva. Oltre a una marea di posti di lavoro. A proposito di lavoro, c’è il tema delle retribuzioni. Che in Italia, peggio che in Ue, sono al palo. Gli stipendi non si muovono e, anzi, fanno il passo del gambero. La Bce, di ciò, è felice. Al punto da meritarsi gli strali dei suoi stessi dipendenti, che nei mesi scorsi, chiedevano aumenti per far fronte all’inflazione. Per i banchieri centrali, l’obiettivo è togliere soldi dalla circolazione. Se ce ne sono di meno in giro, crollano i prezzi. Questo è scritto sui libri di economia. In realtà, gli italiani hanno sperimentato che, nonostante le strette e le paghe da fame, i prezzi sono rimasti altissimi. Al punto che Coldiretti, ieri, ha denunciato che i cittadini spendono di più, per fare la spesa, ma con più soldi comprano molto meno cibo di quanto riuscissero ad acquistarne prima. In questa situazione, inoltre, gli italiani – formiche per definizione – non riescono più a risparmiare nulla. Con la conseguenza che sempre più famiglie devono indebitarsi per affrontare le spese impreviste e, talvolta, persino per quelle quotidiane.


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