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La buona, il brutto e il cattivo

di Cristiana Flaminio -

ELON MUSK TESLA


Altro che Far west digitale. L’Ue si appunta sul petto la stella dello sceriffo e, adesso, punta a stringere la regolamentazione e mira a scavare dentro gli algoritmi degli Over the Top. Ma la questione, come sempre, si fa politica. E mentre il commissario Thierry Breton annuncia le novità contenute all’interno del Digital Services Act, nel mirino della vicepresidente della Commissione, Vera Jourlova, finisce Elon Musk. Perché in Europa, spiega Jourlova, “la libertà di parola non è illimitata”.
Il Dsa si rivolge agli Over the Top e allarga le maglie a tutte le piattaforme “frequentate” da almeno 45 milioni di utenti mensili attivi. Nel documento, i destinatari del regolamento vengono espressamente citati: si va dalla A di Amazon fino alla Z di Zalando. In mezzo ci sono Google e derivati (Maps, Shopping, Play e YouTube), Meta e affini (Facebook, Instagram) l’Apple Store, Tik Tok, Snapchat, Amazon, Wikipedia, Linkedin, Pinterest, Booking, Alibaba, Aliexpress e naturalmente Twitter. Le società hanno quattro mesi di tempo. Dopo il 25 agosto dovranno fermare la pubblicità mirata e calibrata grazie alla raccolta di dati personali sensibili legati a orientamento sessuali, etnia, religione e opinioni politiche. Niente spot tagliati su misura per i minori. In più, dovranno attivare procedure più elastiche ed efficaci per l’eliminazione di fake news. L’Ue minaccia gravi sanzioni: multa fino al 6 per cento del fatturato globale di chi non si adeguerà e, nei casi limite, promette ordini esecutivi, da parte della magistratura europea, che porteranno alla chiusura temporanea di servizi e aziende. Inoltre, le autorità europee hanno allestito il Centro per la trasparenza degli algoritmi con l’obiettivo dichiarato di entrare dentro le “macchine digitali” delle major per controllarle meglio. Thierry Breton a brutto muso ha lanciato un messaggio nemmeno troppo criptico a quei cattivoni di Big Tech: “Il conto alla rovescia è iniziato”.
Il più cattivo di tutti, manco a dirlo, è Elon Musk. Non Zuckerberg che, a più riprese, ha già minacciato il disimpegno dall’Ue in aperta polemica con le decisioni giurisdizionali europee. Vera Jourlova, vice presidente della Commissione, che ha incontrato le agenzie di stampa europee ha detto: “C’è ancora spazio per il dialogo, vorrei tanto spiegare al signor Musk la nostra filosofia: noi difendiamo la libertà di parola, difendiamo la libertà di espressione. Ecco perché abbiamo creato un sistema così complicato, che è il codice di condotta sulla disinformazione, ma la libertà di parola nell’Ue non è illimitata”. Ma non basta. Perché Jourlova ci va giù pesantissimo: “Mi sento a disagio su Twitter, nel quartiere della propaganda aggressiva russa non regolamentata”. La vicepresidente contesta a Musk la mancata applicazione del codice di condotta pur sottoscritto da Twitter per arginare le fake news. Un testo che fa a pugni con le linee guida imposte dal magnate di Tesla, che ritiene le indicazioni troppo schiacciate sulla linea liberal e woke. Jourlova minaccia durissimi provvedimenti: “Non posso prevedere quel che succederà a Twitter con l’entrata in vigore della legge sui servizi digitali. Paragonerei la situazione con la guida in autostrada: se superi la velocità, ricevi sanzioni e un giorno potresti essere privato della patente di guida. Questa è una visione generale di come il Digital Services Act verrà applicato in futuro nei casi di non conformità”.
Non è certo una novità il fatto che l’Ue sia molto critica nei confronti del nuovo corso di Twitter. Già a dicembre scorso, la presidente del parlamento Ue Roberta Metsola aveva chiamato Musk in audizione davanti agli eurodeputati. La stessa Jourlova aveva richiamato Twitter al rispetto dei patti, a febbraio. Ma la vicenda, oltre le beghe politiche e il controllo delle notizie sul web (che pure è di fondamentale importanza) è ancora altrove. La raccolta indiscriminata di dati personali dà ai Big Tech un potere enorme, come mai nessuno prima. Con implicazioni tanto economiche quanto costituzionali. Alla sorveglianza in rete non si sfugge. E chi ha i dati, ha il potere.

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