Politica

LA DC E I 75 ANNI DEL PARLAMENTO

di Redazione -


di GINO ZACCARI
18 aprile 1948, l’Italia è al voto per eleggere deputati e senatori per la prima volta dopo il ventennio fascista, si elegge il primo parlamento repubblicano con l’esordio dell’elettorato femminile in elezioni politiche, l’esordio assoluto c’era stato il 2 giugno 1946 per il referendum che sancì la fine della monarchia ed elesse la costituente. Quello che possiamo osservare a distanza di 75 anni è un Paese che stenteremmo a riconoscere. L’Italia esce dalla dittatura, dalla guerra, dalla doppia occupazione straniera, dalla guerra civile. Il mondo che la osserva ha come centro un continente europeo che si è auto annientato, cedendo lo scettro di guida del mondo a Stati Uniti e Unione Sovietica, che se ne spartiscono le spoglie. L’Italia è sulla linea di confine che Churchill aveva definito “Cortina di ferro”, Trieste, conquistata col sangue degli eroi della Grande Guerra rischia di finire in mani jugoslave, mentre Zara, Fiume e Pola con tutta l’Istria e la Dalmazia non hanno più speranze di restare sotto il tricolore. Inizia l’esodo dei disperati che vengono cacciati dalle loro case o che vogliono restare italiani a qualunque costo.
Secondo quanto già stabilito dalle potenze vincitrici, l’Italia è nella sfera d’influenza statunitense, l’illusione di poter decidere da che parte stare è, appunto, solo un’illusione eppure, l’Italia è il Paese del blocco occidentale con il partito comunista più forte e meglio organizzato, e soprattutto, che avocherà a sé il monopolio della Resistenza. Il PCI riuscirà infatti, meglio degli altri partiti, a porsi, agli occhi del mondo e dell’Italia, come campione indiscusso di quella stagione. Molti analisti erano convinti che se le elezioni si fossero tenute nei mesi immediatamente successivi al conflitto, i comunisti avrebbero vinto, e questo sarebbe stato un bel problema, perché come accennato sopra, e come viene spesso ricordato dagli esperti di geopolitica, un Paese non fa parte di una certa sfera d’influenza perché lo ha scelto, ma perché chi detiene il controllo di quella sfera ha deciso così. La spartizione dei Paesi europei tra i due blocchi è stata decisa, non dalle elezioni nei singoli Stati, ma dagli accordi tra le due superpotenze. Dunque una vittoria del Fronte Popolare (unione di socialisti e comunisti), avrebbe probabilmente determinato, non solo l’ennesima amplificazione delle divisioni interne alla società italiana, ma avrebbe messo a rischio la fragilissima stabilità internazionale, la cui precarietà sarà drammaticamente messa in risalto pochi mesi dopo le elezioni italiane. Quando cioè, nel giugno di quello stesso anno, i russi bloccheranno gli accessi a Berlino ovest costringendo gli alleati ad organizzare un ponte aereo per rifornire le zone di propria assegnazione.
In una situazione così esplosiva, la campagna elettorale non poteva che essere una battaglia infuocata, nella quale tutte le risorse e le forze morali ed organizzative della società italiana furono impegnate. Da ambo i fronti la mobilitazione fu capillare e intensissima, e se da parte cattolica, in favore della DC, scesero in campo le parrocchie e l’Azione Cattolica con tutte le sue sezioni e i suoi gruppi, dalla parte del Fronte Popolare si poteva far affidamento su un movimento operaio ben strutturato e dotato di migliaia di volontari, pronti a fare proselitismo in ogni fabbrica e in ogni campo agricolo, arrivando a bussare casa per casa. Anche gli intellettuali si schierarono per il Fronte Popolare attraverso un appello dell’Alleanza per la cultura che raccolse 4.000 firme, molte delle quali furono interpretate, a torto o a ragione, in chiave opportunistica, dal momento che una vittoria della DC non avrebbe comunque avuto ripercussioni sulla loro posizione nel mondo della cultura. Viceversa, se avesse vinto il Fronte Popolare, l’aver firmato l’appello avrebbe aperto molte porte. Tra questi firmatari c’erano anche personaggi di spessore che firmarono in nome del laicismo e della tradizione anticlericale del Risorgimento.
La DC dal canto suo, oltre a quelli già citati, ebbe il supporto degli Stati Uniti che erogarono, prima delle elezioni, 300 milioni di dollari in aiuti alimentari e medicinali, ma minacciarono di escludere l’Italia dal ben più sostanzioso intervento del piano Marshall in caso di vittoria delle sinistre. Anche le numerose e influenti comunità italiane degli Stati Uniti si adoperarono scrivendo ai propri parenti e conoscenti in Italia, e inviando aiuti accompagnati d suggerimenti di voto. Vi era poi la situazione sociale che era in continuo e grave fermento, al Sud non si contavano più le occupazioni di terre da parte dei contadini, mentre al Nord, i centri industriali erano teatro di scontro e rivendicazioni da parte degli operai. La tensione era tale che verso la fine del ’47 Alcide De Gasperi ebbe a dire che il “puzzo acre di guerra civile” stava iniziando ad aleggiare nel Paese.
Volantini, comizi, manifesti satirici e spesso denigratori, influenze straniere di ogni sorta, conducono l’Italia e il suo elettorato al fatidico giorno, 18 aprile 1948: voto per l’elezione del primo parlamento della Repubblica Italiana. Sono quasi 27 milioni gli italiani che si recano alle urne su un totale di poco più di 29, parliamo del 92,23% degli aventi diritto, una cifra che fa impallidire se paragonata al misero 63,91% delle più recenti elezioni politiche, quelle del 2022. La DC vince in maniera netta ed inequivocabile, sono 4 milioni abbondanti i voti che la separano dal Fronte Popolare. Il partito guidato da De Gasperi se ne aggiudica infatti poco meno di 13, l’avversario 8. La Democrazia Cristiana ottiene la maggioranza relativa in parlamento ma di fronte c’è una sinistra forte e disposta a giocare il suo ruolo in un sistema che è la cosa più simile al bipartitismo che il nostro Paese abbia mai avuto.


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