Editoriale

La Festa del papà ritardatario

di Adolfo Spezzaferro -


Ci siamo quasi assuefatti all’espressione “L’Italia non è un Paese per giovani”, mutuata dal celebre film “Non è un Paese per vecchi”. Complici anche i giornali e la ricerca del titolo che acchiappa, è ormai entrato nell’immaginario collettivo il dato (in verità pericolosamente allarmante) secondo cui il Belpaese stia andando lento ma inesorabile verso uno scenario di tanti, troppi anziani e pochi, pochissimi giovani. Oggi, Festa del papà, il quadro non è migliorato, anzi. Quei pochi – in proporzione – italiani che decidono di diventare papà per la prima volta lo fanno sempre più avanti nel tempo. Più di quanto si faccia negli altri Paesi europei. I più recenti dati Istat indicano che in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2, in Inghilterra e Galles a 33,7 anni. Chi ha girato un po’ l’Europa avrà certamente notato, soprattutto in Danimarca e negli altri Paesi scandinavi (dove è vero che sono tutti mediamente più benestanti di noi), allegre famigliole con un sacco di pargoletti e genitori giovani e belli. Ecco da noi invece ci si decide sempre più in là con gli anni: il fenomeno riguarderebbe circa il 70 per cento dei nuovi papà italiani. Una percentuale altissima. A conti fatti, un uomo su tre è ancora senza figli oltre i 36 anni d’età (non che le donne i figli li facciano così tanto prima, sia chiaro). Gli esperti della Società italiana di andrologia dal canto loro ci ricordano l’importanza di anticipare la paternità e, se proprio non è possibile, di preservare la fertilità fin da giovani, soprattutto attraverso un sano stile di vita. La tendenza a ritardare la paternità – ricordano gli andrologi – comporta minori probabilità di riuscire a fare figli e di farli il più sani possibile. Qualche dato per rendere l’idea: l’età in cui si fa il primo figlio è aumentata di dieci anni, passando dai 25 anni della fine degli anni ’90 ai circa 36 attuali. Pertanto nel giro di pochi decenni siamo passati dal Paese delle mamme (e dei papà, di conseguenza) al Paese dei mammoni, che restano a casa con i genitori e non mettono su famiglia. Un tempo che sembra oggi remoto soltanto una ridotta minoranza arrivava senza figli all’età di 35 anni. Perché era come dire impensabile il contrario. Allo stato attuale, invece fare figli è un obiettivo non prioritario. Peccato però che la natura non è dalla nostra parte: come ricordando gli esperti, la fertilità – sia maschile che femminile – ha il suo picco massimo tra i 20 e i 30 anni. Lasciamo agli economisti e ai sociologi il compito di analizzare le cause di questo ritardo – di sicuro entrano in gioco il carovita, il fatto che ormai debbano quasi sempre lavorare entrambi i genitori per poter andare avanti; così come è innegabile che per tanti giovani adulti lavoratori metter su famiglia non è proprio in programma. Noi invece vogliamo pensare a quelle giovani coppie che vorrebbero tanto fare un figlio ma non hanno abbastanza soldi. Sarà pure banale e ripetitivo, ma un welfare state che si rispetti deve promuovere e sostenere economicamente chi vuole metter su famiglia. Leggiamo i dati dell’aumento delle domande dei congedi parentali dei papà. Le domande sono triplicate: bene. Ma ancora non basta. Se andiamo a vedere la natalità, stiamo invecchiando sempre di più. Con il rischio che la Festa del papà venga assorbita dalla Festa del nonno.


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