Editoriale

L’Europa della Meloni

di Adolfo Spezzaferro -


Si fa un gran parlare del fatto che la mossa della premier – “Scrivete solo Giorgia” sulla scheda elettorale delle Europee – non è detto che sia poi così legale ma di sicuro è la prova provata del voto-truffa, ché la leader di FdI non andrà mai al Parlamento europeo. Sono tutte polemiche sterili, inutili e nascondono tutte la verità. Il punto non è se i voti saranno validi (in realtà basta inserire la dicitura “Giorgia Meloni detta Giorgia”, come è stato per decenni con “Giacinto Pannella detto Marco”, per fare un esempio), se la mossa è per coprire il fatto che in ogni caso la Meloni non ci tiene ad essere eletta a Strasburgo. Il punto è che – al di là del fatto che la mossa, squisitamente berlusconiana, è geniale – in questo preciso momento della politica nazionale e comunitaria la premier batte il ferro finché è caldo, anzi rovente. Perché il suo orizzonte è la legislatura in Italia e la svolta epocale dell’Europarlamento nell’Ue. Un doppio percorso da poter compiere senza grandi ostacoli. Anzi. Vediamo perché. La prima presidente del Consiglio della Repubblica italiana – che viene da destra e non da sinistra, quella delle femministe, della lotta al patriarcato et similia – dice al suo popolo che lei è “solo Giorgia, il mio nome di battesimo” perché “io sarò sempre e solo una di voi, una del popolo”. Una versione aggiornata e altrettanto efficace di quel “Io sono Giorgia” che è la sua parola d’ordine. Il suo motto vincente. Ecco, la Meloni può dire così. E in questa fase non ha avversari politici nella sua stessa (felice) condizione. Vi immaginate “Io sono Elly” detto dalla Schlein? I maggiorenti del Pd non le hanno neanche fatto mettere il cognome sul simbolo, su. È vero che la sua candidatura alle Europee serve a capitalizzare i consensi – tanti votano Giorgia e non FdI – ma è anche vero che da Berlusconi in poi è una pratica diffusa, pacifica. Infatti anche la Schlein è candidata. È consuetudine insomma metterci il nome e la faccia per chiamare alle urne, senza poi andare a Strasburgo. Rinfacciarlo (solo) alla Meloni sarebbe ridicolo. Con questa opposizione, tra l’altro la Meloni ha davanti praterie nazionali ed europee. Sì, perché Pd, M5S e cespuglietti sinistri vari non hanno proprio voce in capitolo a livello Ue, in questa fase. Perché in uno scenario di economia di guerra, con la crisi della sinistra europea, con il vento che soffia da destra, con Macron – detestato dai francesi – che sta per cedere il passo alla Le Pen, altro che maggioranze Ursula 2.0. Quando la Meloni afferma che intende replicare a Bruxelles “il modello italiano” di una “maggioranza che metta insieme le forze del centrodestra” per “mandare all’opposizione la sinistra anche in Ue”, non sta parlando la presidente di FdI ma la leader dei Conservatori e Riformisti europei. E l’impresa è sicuramente difficile, ma mai come in questa fase possibile. Se cambieranno gli equilibri dell’Europarlamento muterà anche il peso dei partiti nelle trattative per il prossimo governo Ue. È il momento di Giorgia, dunque. Perché con lei al governo l’Italia è stabile, salda nel quadro della Nato e delle alleanze che contano, a partire da quella con gli Stati Uniti. Perché i fondamentali della nostra economia non sono messi così male e comunque meno peggio di altre potenze europee, a partire da Francia e Germania. La coalizione di governo poi è stabile, con i consensi in aumento – a tal proposito il vento in poppa per Forza Italia è un altro bollino blu di garanzia di stabilità, affidabilità, moderazione a livello Ue. Se poi a novembre dovesse rivincere Trump, è un altro discorso. Adesso e fino all’8-9 giugno, quando si andrà a votare per le Europee, si scrive Giorgia ma si legge nuova Ue.


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