Cultura & Spettacolo

La musica del potere

di Adolfo Spezzaferro -


Un film sull’esercizio del potere con sullo sfondo la forza onnipotente della musica: Tár di Todd Field ci regala la più grande interpretazione di Cate Blanchett. Una pellicola difficile, che si apre volutamente con una doppia prova di resistenza per lo spettatore. Una sorta di test d’ingresso, di ammissione allo sviluppo della vicenda narrata. Prima i titoli di coda messi all’inizio, accompagnati da un canto tribale. Non proprio di facile ascolto. Poi, in una doppietta che ha seminato perplessità in sala, una lunga sequenza di un’intervista della protagonista, direttore d’orchestra e compositrice, con un giornalista del New Yorker. Con passaggi tecnici e tempi realistici, senza tagli (il film dura due ore e 40 minuti). Un film difficile, non per tutti, e che però ha una qualità tale da aver ottenuto ben sei nomination agli Oscar, tra cui Miglior film e Migliore regia (oltre che la scontata candidatura alla formidabile Blanchett).
E’ la storia di Lydia Tár, l’unica donna al mondo a dirigere i prestigiosi Berliner Philharmoniker. Americana, protetta del grande Leonard Bernstein, Lydia è alle prese con l’apice della sua carriera: dirigere e registrare dal vivo la sinfonia n. 5 di Gustav Mahler. Tutto sembra andare verso la direzione di un trionfo, finché Lydia non si trova al centro di polemiche sull’abuso di potere esercitato nel proprio ruolo e sulla richiesta di favori sessuali fatta a delle assistenti in cambio di riconoscimenti professionali. In particolare, dopo il suicidio di una sua ex assistente, Krysta, cominciano a circolare prove e video compromettenti, probabilmente diffusi da membri del suo stesso staff. Accuse che mandano a rotoli anche il rapporto con la sua compagna, Sharon (la tedesca Nina Hoss), primo violino dei Berliner, e madre della loro figlia adottiva Petra.
Dietro la celebrazione quasi da icona pop oltre che stimatissima “bacchetta” tra gli addetti ai lavori affiora pian piano un mondo di ingiustizie, soprusi, favoritismi. Il tutto mosso dall’appetito di un predatore sessuale donna. Lydia in effetti è una donna di potere che esercita in ogni modo e a qualsiasi livello tutta la sua influenza. Si comporta a tutti gli effetti come un uomo di potere e infatti a scuola della figlia si presenta come “padre di Petra”. Si veste come i suoi idoli del podio. Incarna il peggio degli uomini in posizioni apicali. Ciò detto, le sue qualità sono indubbie e uniche, sia sul podio che come musicista e musicologa. Lei, che peraltro insegna nella migliore scuola di musica degli States, la Juilliard, non scende a compromessi neanche con la cancel culture. La musica e l’amore incondizionato per la musica viene prima di tutto. Ecco perché – in una sequenza magistrale – mette a posto uno studente che dice di non amare Bach perché bianco, etero, maschilista, bigotto, ecc. E lo fa facendogli notare che se certi criteri di valutazione valessero per tutti, anche lui un giorno sarebbe giudicato per il colore della pelle o i gusti sessuali, invece che per le qualità musicali. Di tutta risposta lo studente la insulta e abbandona la lezione.
Le sequenze sulle prove di orchestra sono potentissime: qui la musica è protagonista assoluta e Lydia, sul podio, è strumento perfetto della musica. Lei è una forza della natura, controllata dalla padronanza magistrale della tecnica, alimentata da un fuoco sacro, da una passione senza eguali. Gli orchestrali la amano, la seguono incondizionatamente, le ubbidiscono a bacchetta. Anche perché la direzione d’orchestra non è una democrazia, ma una dittatura assoluta. Eppure l’ensemble diretto da Lydia è in totale sintonia, empatia, simbiosi si potrebbe dire.
Tuttavia, le spiegazioni tecniche su come interpretare gli spartiti e dare il giusto tempo e peso alle sezioni dell’orchestra sono appassionanti soltanto per i veri amanti della musica sinfonica. Ma sono funzionali a tratteggiare la personalità della protagonista. Cinica, calcolatrice, ambiziosissima, innamorata soltanto di se stessa, tirannica. Una Blanchett in stato di grazia, già giustamente vincitrice del Golden Globe e della Coppa Volpi a Venezia. Certo, il film presenta lunghe sequenze scenicamente non coinvolgenti, accanto a situazioni più didascaliche, che ricordano Whiplash di Damien Chazelle, dove la musica viene spiegata in modo appassionato.
L’epilogo di questa storia della inesorabile caduta dalle stelle alle stalle di una diva assoluta, è terribile, spietato. Eppure non fa che confermare nella sua totale assurdità l’amore incondizionato di Lydia per la musica. A qualsiasi prezzo.
Tanto da esser disposta a perdere tutto il resto, dignità compresa.

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