Politica

L’EDITORIALE – La posta in gioco

di Tommaso Cerno -


La posta in gioco. E sancire nelle urne la leadership dell’opposizione. Attorno a lei le insidie più difficili da scongiurare non vengono dagli avversari della destra, convinti che Elly sia un elemento debole, cosa non così vera come loro pensano, ma dal suo stesso mondo progressista, che ha visto uscire dalle urne popolari per la prima volta nella storia democratica il nome di un leader che non era stato selezionato e scelto dalla classe dirigente del partito. Ed è questo maleficio che va invertito. Elly è chiamata a scegliere tra la natura profonda di questo centrosinistra da seconda repubblica, già di per sé zoppicante, che attribuisce al suo popolo l’unico mandato possibile per la leadership e i calcoli di Palazzo che la vogliono fuori squadra prima ancora che il campionato abbia inizio. Giochi di Palazzo in cui sono molto più bravi gli altri, gente che in Italia non prende più del 2 per cento, ma che nelle sacre stanze ha imparato ogni tipo di trucco. Se il segretario del Pd farà l’errore di giocare a poker secondo le loro regole, finirà la sua corsa prima che questa cominci. Le trappole si moltiplicheranno, i distinguo aumenteranno e Schlein diventerà una comparsa dell’emisfero della sinistra.

Se crede davvero che quel question time in Parlamento, che Meloni ha giocato con arguzia per portare al centro della scena le elezioni europee e la necessità di uno scontro diretto fra leader, sia stato un punto a suo favore, ha il dovere di assumersi la responsabilità politica del proprio ruolo e di andare a sfidare Giorgia Meloni fuori dalle aule istituzionali, fuori anche dai duelli televisivi, dentro le urne dando la parola ai cittadini. Faranno di tutto per impedirglielo. Molto più la sinistra di quanto farà davvero la destra. Perché è a casa sua che alloggiano le perplessità più grandi. Quelle che a partire da Romano Prodi, l’uomo simbolo di una sinistra che vinceva e che non esiste più solo ed esclusivamente in virtù dei suoi successi elettorali, non certo dei provvedimenti dei suoi governi, sembrano tutti spaventati dell’esito di queste Europee.

Ma il problema è che stavolta il Pd non ha paura di perdere ma di vincere. Non certo la sfida contro Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni, che salvo catastrofi non all’orizzonte si affermerà come primo partito e leader più forte di questo momento politico, ma contro i suoi veri avversari di queste Europee che stanno tutti nel suo stesso campo e che stanno vivendo l’appuntamento elettorale di giugno come le prime europrimarie di coalizione di una sinistra in cerca d’autore.

Se Schlein vuole disinnescare le trappole che le stanno seminando intorno deve mettere il suo nome in cima alla lista elettorale, spiegare al Paese che la sinistra ha un progetto alternativo alla destra per l’Europa e che è necessario che vada in scena un duello vero, giocato sul campo, fra Meloni e Schlein.
E questo duello è necessario proprio perché nessuna delle due leader politiche siederà poi nel Parlamento europeo. Queste elezioni chiedono un passo avanti nella costruzione di un’Europa politica, Europa che può nascere non certo dai banchi di quel Parlamento ma solo dal peso elettorale dei leader che si contendono il governo nei più importanti Paesi dell’Unione.


Torna alle notizie in home