Politica

La riforma del fisco di Meloni

di Domenico Pecile -


I tre principi cardine enunciati dal premier Giorgia Meloni durante il question time dell’altro ieri rimangono la colonna portante della riforma del fisco affrontata dal Cdm che ha dato ieri il suo via libera: riduzione della pressione fiscale, un nuovo rapporto tra lo Stato e i contribuenti non più vessatorio, ma paritetico e una reale lotta all’evasione fiscale. Per il premier si tratta di una svolta necessaria per il Paese perché rivedremo aliquote Irpef, minor carico per tutti e per redditi medio-bassi.
Un disegno di legge delega di 22 articoli, quello all’attenzione del Consiglio dei ministri, per una profonda revisione del sistema fiscale con la prospettiva di una transizione verso l’aliquota impositiva unica (Flat tax). Detto con le parole di tre dei principali fautori del disegno di delega, il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti e il suo vice, Maurizio Leo, si tratta di una riforma ambiziosa sulla quale la maggioranza, fatte salve alcune diverse interpretazioni su singoli provvedimenti, ha l’obiettivo di diminuire le tasse, di puntare nel contempo a una maggiore crescita economica del Paese e a raggiungere una migliore equità. Il tutto, appunto, attraverso una sorta di nuovo patto sociale, basato sulla reciproca fiducia, tra Stato e contribuente. La riforma fiscale – ha infatti mandato a dire la maggioranza – ha obiettivi molto chiari. Deve essere fatta compatibilmente con “le risorse che lo Stato ha, e quello attuale non è un anno con ampie dotazioni. Però fissare i traguardi è fondamentale” e uno di questi “è diminuire le tasse sia per i lavoratori sia per le imprese”. “Credo che quando si fa una riforma del fisco – ha affermato il ministro del Turismo, Daniela Santanché – di cui se ne parla da tantissimi anni, non tutti potranno essere contenti, ma quando c’è qualcuno scontento vuol dire che siamo nella direzione giusta”. Tra le novità, nella revisione delle sanzioni penali (la “causola salva conti”), spicca quella che darà specifico rilievo alla ipotesi di “Sopraggiunta impossibilità di fare fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso”.
Ma da Rimini dov’era in corso il congresso della Cgil, il suo segretario generale, Maurizio Landini – che su questo ha incassato la solidarietà e l’appoggio dai colleghi di Cisl e Uil, Luigi Sbarra e Pier Paolo Bombardieri – non soltanto boccia il disegno di legge delega, ma preannuncia una dura mobilitazione che potrebbe sfociare nello sciopero generale. Ieri ha rincarato la dose sul problema-tasse affermando di essersi “rotto le scatole ad essere sempre io a pagare anche per chi non le paga e che sia sempre io a garantire quella sanità pubblica al posto di chi la fa ma non la usa”. Insomma, per Landini in Italia c’è un punto di fondo che è la questione fiscale: “Un Paese che sta in piedi con le tasse pagate da lavoratori dipendenti e pensionati”. Da qui, il rilancio di una sua vecchia proposta per “un contributo straordinario per la creazione di un fondo di solidarietà per creare lavoro con cui ricostruire la coesione sociale nel Paese”. Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, sempre a Rimini ieri, nel bocciare la proposta di riforma del fisco del governo, ha invece rispolverato l’ipotesi di una patrimoniale. “La delega fiscale discussa in Cdm è “anticostituzionale perché va contro la progressività e continua ad aumentare le disuguaglianze nel Paese. Bisogna fare il contrario ed è l’ora di una iniziativa sulle grandissime ricchezze. Patrimoniale? Direi di sì, basta con la paura delle parole”. La leader del Pd chiama alla mobilitazione nelle piazze, oltre a utilizzare tutti gli strumenti in Parlamento per stoppare l’ipotesi di riforma fiscale. Nel mirino soprattutto la flat fax che “mette in competizione lavoratori dipendenti e autonomi a parità di salario, non è questo che vogliamo”: Anche per questo il Pd punta a estendere “un set di tutele che valgano sia per i dipendenti che per i lavoratori autonomi. È una visione opposta a quella corporativista di frammentare creando guerra tra le fasce che hanno più difficoltà”. Ma flat tax, Irpef, Irap avevano già fatto irruzione nell’agone politico sparigliando le carte e spaccando sia le parti sociali che la politica. Se i sindacati, come detto, hanno già espresso la loro netta contrarietà, Confindustria ha invece promosso alcune delle misure fondamentali, mentre artigiani e commercianti non disdegnano il riordino dell’Iva e la spinta alla compliance.
Il vero nodo su cui lo scontro politico è destinato sicuramente ad amplificarsi riguarda ovviamente la flat tax. La tassa piatta – uno dei punti cardine del programma elettorale dell’attuale maggioranza di Governo – è infatti uno dei punti che più divide destra e sinistra, governo e sindacati. L’esecutivo, spalleggiato da tutta la maggioranza, sia pure con alcuni distinguo iniziali (la lega punta a una flat tax al 15 per cento, Forza Italia al 23 e FdI mira invece alla cosiddetta flat tax incrementale, ossia una tassazione agevolata applicata sull’aumento di reddito dichiarato nel corso dell’anno e che sarebbe più vantaggioso delle aliquote Irpef), ha come obiettivo il raggiungimento della tassazione unica entro l’arco della legislatura. Una tassazione unica per tutti, dipendenti compresi.
Ma per i sindacati e le forze di opposizione, Pd e M5S in primis, oltre a rappresentare la negazione del principio costituzionale della progressività delle imposte, sarà la miccia per innescare proteste e mobilitare anche le piazze.

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