Editoriale

La segretaria disarmata

di Tommaso Cerno -


La segretaria disarmata. Doveva essere un vertice sulla sua candidatura, ne è uscito un timido passo indietro sulle armi dopo due anni di voti a favore. La più disarmata sembra proprio lei, Elly Schlein segretaria del Pd. Nel convento a cinque stelle trasformato in Spa i presunti francescani del Pd abbandonano le ricchezze del Palazzo per ammansire il lupo come fece san Francesco. Peccato che il lupo che vogliono domare sia il segretario Elly Schlein mentre in un Paese normale il lupo sarebbe Giorgia Meloni e la scelta di Schlein quella di candidarsi.

Ma si sa che nel Pd ci sono almeno due fronti che non vogliono il leader troppo forte e in campo contro il premier. Il primo è il fronte che teme una sconfitta o un risultato modesto che metta la parola fine alla segreteria talmente presto da rischiare il patatrac del partito. Ma chi è più pericoloso per Elly è il fronte opposto, quello che teme una sua vittoria, ovvero un distacco da Conte talmente forte da garantire a Schlein la leadership del centrosinistra fino alle Politiche e il compito di federare i diversi partiti di opposizione. Ed ecco che su Gubbio appaiono i fantasmi di due avversari che hanno scelto il passo di lato, solo formale alle elezioni europee. Ma che proprio con il gesto di non partecipare hanno fatto capire al Pd che c’è un pericolo in agguato forse perfino più grande della scelta destra di governo.

Si chiamano Conte Giuseppe, leader dei Cinquestelle, che già da giorni ripete che la candidatura della Schlein sarebbe una truffa agli elettori, e Paolo Gentiloni Silveri, conte anche lui, commissario europeo pronto a sostituire Elly in caso di debacle. Ed è per questo che un segretario uscito vincitore dalle Primarie del Pd, che hanno incoronato la sua leadership politica, non solo in un Paese normale ha il diritto di guidare il suo movimento nella corsa più importante in questa fase politica, mettendosi in cima alla lista proporzionale del Pd alle Europee. Ma ne ha addirittura il dovere. Perché oggi quel voto ha un significato politico talmente alto che anche un fesso capirebbe che va al di là del singolo eletto, così come il peso che il Partito Socialista europeo avrà o meno nella nuova Commissione giudicherà la qualità delle leadership prima ancora del lavoro che gli eletti svolgeranno una volta insediati a Strasburgo.

Ma non finirà così se prevarranno anche stavolta le logiche interne delle segreterie, i bisticci fra le correnti, i contrappesi interni che sono la zavorra culturale per cui il Pd è andato negli anni sempre calando nei consensi e non è mai riuscito a vincere davvero le elezioni politiche in Italia. Riducendosi a un agglomerato culturale anti destra talmente diviso e parcellizzato negli interessi e nelle visioni da avere bisogno di riesumare dalla tomba perfino Benito Mussolini pur di avere una parola d’ordine che lo tiene unito.

Una regressione dalla sinistra che ha animato il dibattito e l’alternanza politica in Italia durante la Seconda Repubblica e che aveva individuato in maniera più moderna e contemporanea gli elementi a suo dire virulenti del berlusconismo costruendo un antidoto che al di là delle opinioni dei singoli aveva soggettività politica e competeva nel costruire una visione alternativa del Paese.


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