Politica

La sopravvivenza di B. passa per il Pirellone: prove di nuovo centro

di Domenico Pecile -

ATTILIO FONTANA PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA SILVIO BERLUSCONI PRESIDENTE DI FORZA ITALIA


Da dove cominciare? C’è soltanto l’imbarazzo della scelta per un’istantanea politica che riassuma il centrodestra alla vigilia delle regionali lombarde, un test che solo in termini economici vale il 22 per cento del Pil del Belpaese. E allora partiamo da un paradosso. E cioè che la conferma alla guida del Pirellone da parte del centrodestra potrebbe scoperchiare un verminaio interno fatto di ripicche e invidie, di malumori, di trabocchetti, di ricatti tutti interni alla maggioranza che potrebbero, ad esempio, avere come detonatore la telenovela delle nomine: su tutte Eni, Terna, Poste ed Enel. E nemmeno due mesi dopo si voterà anche per il rinnovo del Friuli Venezia Giulia dove se la riconferma di Fedriga viene data per scontata, non si può sottacere il dato della Lega che si avvia verso una débâcle annunciata (il presidente uscente stravinse alle regionali del 2018 grazie al 34% del Carroccio che, invece, si è attestato soltanto al 10% cento alle recenti politiche). Insomma, l’onda lunga della Meloni è destinata a trasformarsi nuovamente in uno tsunami dentro la coalizione. Dove, accanto a uno spaesato Salvini – che sente puzza di bruciato dentro il partito con il pressing di Zaia, Fedriga e dello stesso Fontana anche sull’Autonomia differenziata – c’è Forza Italia in costante declino, con il presidente Berlusconi sempre più irritato e rancoroso nei confronti del premier. Paradigmatico, al proposito, la presa di distanza del Cavaliere sulla vicenda delle accise. Ma si tratta di critiche di piccolo cabotaggio perché gli Azzurri di fatto sono rimasti senza bussola politica, senza un progetto e consapevoli che la mortalità politica di Sansone rischia di trascinare nell’orrido ciò che resta del partito. Dentro il quale, tra l’altro, il ministro della Difesa e vicepremier, Antonio Tajani, da vessillifero e pretoriano di ferro di Berlusconi si è trasformato in uno dei sostenitori più fidati di Giorgia Meloni. Prove tecniche di salto della quaglia? Staremo a vedere. Di certo, Berlusconi non solo deve fare i conti con una corte sempre più ristretta, ma non riesce a caratterizzare il suo partito come forza liberale e centrista, anche perché sul centro si sono scatenati gli appetiti di Renzi e Calenda tra i cui obiettivi non è alle viste alcun accordo con i forzisti ma, casomai, il loro svuotamento elettorale. Anche i centristi potrebbero essere costretti ada andare in analisi dopo il voto lombardo se le proiezioni dovessero confermare un successo sotto le aspettative della Moratti. Insomma, anche tra Calenda e Renzi potrebbe scattare una resa dei conti di un partito nato come fusione di due leader. Forza Italia – ma in questo è in buona compagnia della Lega e sul fronte opposto del Pd – ha perso progressivamente forza e presenza sui territori, chiudendo sedi e circoli palesando quella crisi politica che, con l’unica eccezione di Fratelli d’Italia, caratterizza tutto l’agone politico italiano. La crisi dei partiti anche nel centrodestra si manifesta anche attraverso la nascita, ma anche spesso la breve durata di vita delle liste civiche. Che continuano a prediligere giocoforza il livello comunale. Già durante la prima repubblica i grandi partiti come Dc e Pci si presentavano in molti Comuni senza il simbolo. Insomma, il vero terreno del civismo è quello comunale. Poi, più il livello si alza (provinciale, regionale e statale) più le liste civiche avrebbero bisogno di fare il salto di qualità in senso organizzativo, strutturandosi al pari dei partiti. Come dire che è quasi impossibile trasferire quegli “esperimenti” comunali a livelli superiori dove l’appartenenza ai partiti torna a ridiventare il vero movente elettorale, tranne che per le liste del residente che fanno storia a sé. FdI non ha bisogno delle civiche, è in espansione, sta inaugurando sedi dopo sedi, occupa l’intero spazio del centrodestra fagocitando sia le istanze più liberali espresse dai vari Berlusconi, Lupi, Toti e Fitto, sia quelle dei duri e puri di destra. Ma soprattutto, il partito della Meloni sta per conquistare quella Lombardia genitrice sia di FI che della Lega. Una vittoria annunciata, come si accennava, che potrebbe creare i primi, veri grattacapi alla maggioranza. Berlusconi non può infatti pensare di stoppare la Meloni inscenando un duello ricattatorio sulle nomine come Salvini sa perfettamente che la battaglia sull’Autonomia differenziata è importante, ma non dirimente per il futuro del partito e del suo come leader. Dunque, la Meloni si ritroverà probabilmente trionfatrice (questo dicono i sondaggi) con accanto due alleati sconfitti e depressi. In Fvg la partita del centrodestra è diversa. Qui, Fedriga, infatti, ha deciso – come per altro fece Zaia in Veneto – di presentarsi con una sua lista (Lista del presidente) confezionata però su misura. Il che significa che garantirà la presenza anche di alcuni esponenti di spicco del Carroccio. Il tutto per rendere meno dolooroso l’annunciato tracollo in termini di voti. Non solo, ma la sua rielezione sarà un altro campanello di allarme per la tenuta di Salvini alla guida del Carroccio.

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