Politica

La vendetta di Giorgia. Così Guido Crosetto sfidò la burokrazia

di Giovanni Vasso -

GUIDO CROSETTO MINISTRO


Una vecchia favola romena racconta che, quando divenne principe di Valacchia, Vlad Tepes Dracula volle incontrare tutti i boiardi del regno. Chiese a ognuno di loro quanti signori avessero servito prima di lui. Ognuno si vantava di essere stato alle dipendenze di diversi reali, qualcuno ne citò otto, i più anziani addirittura dieci. Dracula, a quel punto, li fece incarcerare e uccidere tutti: avevano servito troppi padroni perché potessero essergli fedeli e leali. Lo spoil system, al di là degli aspetti truculenti e mitici del racconto, trova le sue ragioni nella considerazione del principe che ha bisogno di uomini suoi, o comunque fidati e affidabili, per far funzionare al meglio la macchina del potere che intende guidare.
Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi da qualche mese ma la forza della burocrazia di Stato l’ha già sperimentata. Come è accaduto con il decreto Rave, che doveva essere la risposta pronta e decisa a un problema che aveva assunto rilevanza pubblica e che, invece, s’è infranto contro gli scogli delle lungaggini. A differenza di chi l’ha preceduta (da An in poi) e di chi le sta accanto (che preferirebbe abbozzare…), Meloni non ha la minima intenzione di passare cinque anni a Palazzo senza poter toccare palla. Anche perché le partite sono importantissime e ne va del futuro stesso del Paese. Uno dei grandi errori della destra, nonostante sia stata al governo e sia stata una delle forze politiche fondatrici della Seconda Repubblica, è stato quello di non essere riuscita a lasciare la minima traccia di sé. Specialmente all’interno delle piante organiche delle burocrazie dei Palazzi che contano. Cosa che, invece, è riuscita benissimo al centrosinistra che, anzi, ha capitalizzato al meglio le eredità politiche da cui proviene: quella ex comunista e quella della Dc di base, cioè dei democristiani di sinistra. La destra ha un grande problema, notorio, di classe dirigente, che non è fatto solo di politici, con il quale Meloni deve fare i conti. E ambisce a risolvere. Però lei è la premier e non può certo lanciarsi in un corpo a corpo contro uno dei poteri dello Stato, quello dei burocrati o, come si dice adesso, specialmente negli ambienti più vicini ai conservatori americani a cui Meloni si ispira, del Deep State.
Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. E scende in campo Guido Crosetto. È con lei dall’inizio, da quando insieme (erano ancora i tempi del Pdl sopra il 40% dei consensi), sfidarono la leadership di Silvio Berlusconi (che non gliela ha mai perdonata, almeno a Meloni). E’ tra i pochi in Fdi a non poter essere attaccato in nome dell’antifasciamo. Crosetto, intervistato da Il Messaggero, s’è lanciato con il “machete” contro la burokrazia romana: “Non si può pensare di fare politiche nuove e diverse, se nei posti chiave tieni funzionari che hanno mentalità vecchie o servono ideologie di cui noi rappresentiamo l’alternativa. Il machete? Contro chi nelle amministrazioni pubbliche si è contraddistinto per la capacità di dire no e di perdere tempo. Se non mandiamo via queste persone, facciamo un danno al Paese. E noi non abbiamo vinto le elezioni per danneggiare l’Italia”. Nonostante il machete, a differenza del tenebroso principe di Valacchia, Crosetto non vuol fare la pelle a nessuno. E si affida a un alleato inesorabile, il tempo: “Non è facile sostituire le burocrazie esistenti. Perché alcune persone sono di grande valore e perché la macchina amministrativa deve andare avanti, non puoi fermarti mandando via funzionari di cui non ti fidi o hanno idee diverse dalle tue. Ci vuole un po’ di tempo”. Per il ministro della difesa è questione di coraggio: “Bisogna averlo per fare queste scelte, mentre in alcuni ministeri c’è il timore di prendere decisioni che vanno prese per rimettere in moto il Paese”.

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