Editoriale

Labirinto Cecchettignez

di Tommaso Cerno -


Labirinto Cecchettignez. A cosa ci servono i bagni gender in un Paese dove il padre di Giulia Cecchettin, assassinata dal suo ex fidanzato, ha bisogno di un agente letterario inglese per scrivere libri e fiction tv. A cosa ci servono i bagni gender in un Paese dove un deputato si presenta a Capodanno con la pistola in mano invece del panettone, e gli parte pure un colpo. Pisciassero un po’ dove vogliono gli italiani, nel Paese dei Ferragnez e, come se non fosse sufficiente la fotografia di chi siamo che appare nitida nel caso di Chiara e del pandoro Balocco, nel nuovo anno il film si impreziosisce di nuovi mirabolanti protagonisti della scena pubblica: i Cecchettignez, che pregustano la passerella letterario-cinematografica che immortalerà la tragedia di Giulia e la nuova vita di papà Gino, con l’unico accidente di un processo all’omicida che deve ancora cominciare e difficilmente si chiuderà con un ergastolo. E il pistolero del Vercellese che deve avere una fissazione un po’ ignorante per quel Giosuè Carducci che quando scrisse “c’armi ed aratri e all’opera fumanti camini ostenta” parlando delle Alpi biellesi, non intendeva affatto l’usanza di sparare ai Veglioni di San Silvestro.

Il problema è che se non lo famo strano ci sembra di annegare nella noia. Ed è per questo che quando è scoppiato il caso Ferragni ci siamo guardati e battuti il gomito perché ormai il dibattito pubblico è avulso dai problemi reali. Ed ecco che le tre scene madri di queste feste sotto tono, frenate dall’inflazione, sembrano perfette una accanto all’altra per sceneggiare questa nostra costante fuga dal presente, che è il limite della politica di oggi e forse del sistema democratico in generale.

E così mentre i cassamortari studiano da agenti letterari per future vittime di delitti, gli influencer si chiudono in casa e spengono i telefonini sperando in quell’oblio che avevano scongiurato per tutta la vita e le armerie espongono in fretta e furia cartelli con le istruzioni minime per chi porta legittimamente un’arma in tasca (non sparare sugli ospiti è la prima), Giorgia Meloni affronta una surreale conferenza stampa di fine anno. Guarita da una labirintite che l’aveva costretta in casa, si ritrova in una realtà perfino più sbilenca di quelle brutte ore che ha passato. Perché salita alla guida del G7, capo del governo di una potenza mondiale, alle prese con una crisi geopolitica ed economica del tutto nuova per le democrazie, nel mezzo di due guerre sanguinose che stanno cambiando gli equilibri del pianeta, dovrà rispondere, nel Paese dei Cecchettignez, a domande che definire strampalate è dire poco.

Che fare di un deputato pistolero? Che ne pensa di un’indagine che non riguarda nessun membro del suo governo ma siccome tocca la famiglia Verdini è considerata l’evergreen di tutte le battaglia contro la destra di governo? Perché l’Italia non ha adottato il Mes visto che il Parlamento democratico che noi intendiamo difendere contro il premierato ha votato contro? Effettivamente servirebbe un agente letterario per capire in che Paese viviamo. Proprio come quel Andrew Nurnberg che seguirà Gino Cecchettin nella sua nuova impresa letteraria. Eppure sarà questa la nostra conferenza stampa di fine anno. Proprio quella di chi ripete che la politica dovrebbe occuparsi delle grandi questioni e che non possiamo immaginare un Paese dove le due Camere non siano libere di votare come ritengono, e dove la morte è un fatto privato e dove la responsabilità penale è personale. Vedremo se Giorgia Meloni riuscirà a uscire indenne anche da questo labirinto di contraddizioni.


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