Economia

Bce, giù i tassi: ora Lagarde studia da colomba

di Giovanni Vasso -


Lagarde la colomba. La regola sarebbe quella di stendere ponti d’oro al nemico che, sconfitto, scappa via. Il problema, se tale può essere definito, in Europa è un altro. L’aria è cambiata e gli sconfitti di ieri sono diventati i vincitori di oggi. Per dirla meglio, Christine Lagarde, che non è mai stata un’economista ma una donna politica sì, ha fiutato l’aria e, come Ursula von der Leyen prima di lei, ha fiutato il vento del cambiamento e adesso tenta di cavalcarlo. La Bce, nella riunione di ieri pomeriggio, ha tagliato i tassi di 25 punti base, ha portato quelli sui depositi presso la stessa banca centrale al 3%, ha ribassato al 3,15% i tassi sulle operazioni di rifinanziamento principali mentre quelle marginali scendono al 3,40%. Nulla di nuovo sotto al sole. Tutti gli analisti l’avevano previsto. Il board di Francoforte ha riportato il costo del denaro in zona non recessiva. E questo accade per la prima volta da quando con la guerra in Ucraina è insorta la crisi energetica e, dunque, è divampata l’inflazione, cioè da poco più di due anni a questa parte. Fin qui, nulla di eclatante. Il vero salto di qualità è stato nella comunicazione. Quella Lagarde dura, arcigna, dalle parole di piombo non c’è più. Ne è arrivata, in conferenza stampa, un’altra. Sempre elegante e austera ma molto più realista. Capace, spogliatasi delle catene a cui l’avevano costretta i falchi Bce, di volare alto seguendo i Draghi. Anzi, il Draghi. Mario. Alle cui raccomandazioni, “insieme a quelle di Enrico Letta”, per Lagarde, “va dato seguito”. Una frase, quella pronunciata dalla Lagarde, che capovolge il paradigma del suo mandato finora: la donna che avrebbe dovuto cancellare persino il ricordo di mister Whatever it takes è costretta a ritornare sulle sue posizioni e a dargli ragione. Le colombe, dopo anni di silenzio, sono tornate a ruggire. Hanno messo in silenzio i falchi non senza polemiche, scontri interni, tiri mancini e soffiate velenose. Lagarde, che non è un’economista ma una donna politica, ha fiutato l’aria e ha cambiato sponda. Affermando che c’era stato chi aveva addirittura proposto di far calare i tassi di mezzo punto (come ha fatto il Canada solo qualche giorno fa) e tentando di dare l’immagine di un board unito e coeso che, oggi, tutto è tranne che così. E che solo con difficoltà ha trovato la quadra sul solito taglietto da 0,25 punti. Già, perché al di là dei dati sull’inflazione che, secondo la governatrice, hanno dato speranze di cogliere presto l’obiettivo del rientro al 2% (oggi il caro vita nell’area Ue è stimato al 2,4%), quello che più fanno paura sono i numeri sulla crescita e la prospettiva di ritrovarsi, dal prossimo anno, a dover fare i conti coi dazi Usa. Per quanto riguarda la prima, la Bce ha abbassato ulteriormente l’aspettativa portandola allo 0,7% nel 2024, 1,1% nel 2025, 1,4% nel 2026 e 1,3% nel 2027. Nelle stime precedenti, risalenti appena a settembre, veniva pronosticata una crescita 2024 allo 0,8% e poi un’accelerazione all’1,3% sul prossimo anno l’1,5% su 2026. Il protezionismo americano, già avviato in sordina da Joe Biden, sarà perfezionato dalla presidenza Trump. Lagarde, che già si era “arresa” prima ancora di sedersi allo stesso tavolo da lei invocato per fare il punto della situazione tra Washington e Bruxelles, ripete ancora una volta che col protezionismo e i dazi non si andrà da nessuna parte e che i limiti all’export “possono avere un effetto netto al ribasso sull’inflazione” ma poiché deprimono gli affari “sul lungo termine l’effetto è incerto, perché dipende da una serie di fattori tra cui le rappresaglie e il reindirizzamento delle rotte commerciali, e questo è molto complesso”.

L’aria è cambiata. Nel mondo, e in Europa ancora di più. Christine come Ursula, da una giravolta all’altra, dall’ideologia, rispettivamente rigorista e green, alle pressanti richieste della realtà. Già, perché prima della riunione Bce, il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, con delega alla Strategia industriale e alla Prosperità (che non c’è), il francese Stéphane Séjourné (che, per inciso, non è né un pericoloso conservatore né tantomeno un gretto popolare bensì un macroniano di ferro), ha rinviato, sostanzialmente, al 2026 il programma di decarbonizzazione delle industrie europee: “Il Clean Industrial deal – ha spiegato – rientra in una strategia di economia industriale e di competitività per le industrie. C’è però urgenza per vari settori – ha aggiunto – e cerchiamo degli elementi di semplificazione e di finanziamento per poter iniziare la decarbonizzazione e seguire da vicino certi settori. Non ci sono legami tra il Clean industrial deal e questo fondo però il Clean industrial deal è una strategia per la decarbonizzazione con degli elementi per la competitività economica. Parleremo della questione dei fondi nei negoziati di bilancio a partire dal 2026”.

Il Tar del Lazio cancella la precettazione: lo sciopero dei trasporti, oggi, durerà per ventiquattro ore. La decisione è arrivata nella giornata di ieri. Quando, con un decreto monocratico, i giudici amministrativi hanno accolto l’istanza presentata dall’Usb contro l’ordinanza emessa dal Ministero dei Trasporti che avrebbe ridotto l’astensione del lavoro a sole quattro ore. “Per una volta vincono i lavoratori e vince la democrazia”, esultano i sindacalisti dell’Unione di Base che, peraltro, aveva già promesso che avrebbe violato il “precetto” di Salvini. Che, a sua volta, ha deplorato la decisione del Tar: “Abbiamo fatto tutto il possibile per difendere il diritto alla mobilità degli italiani. Per l’ennesimo venerdì di caos e disagi, i cittadini potranno ringraziare un giudice del Tar del Lazio”. Proprio i disagi, per il Tar, “appaiono riconducibili all’effetto fisiologico di tale forma di astensione dal lavoro né emergono le motivazioni in base alle quali i disagi eccederebbero tale carattere, tenuto conto della vincolante presenza di fasce orarie di garanzia di pieno servizio”.   Intanto, sul fronte occupazione, continuano a piovere buone notizie. L’Istat ha riferito che, nel terzo trimestre di quest’anno, gli occupati sono saliti di 117mila unità per un tasso pari al 62,5%. Su base annua, l’aumento è stato (finora) di 517mila unità e, in termini percentuali, del 2,2% rispetto allo stesso trimestre di un anno fa. La disoccupazione continua a scendere (-1,7%) mentre il tasso di inattività è sostanzialmente stabile (+0,1%).


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