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L’altra faccia della verità sull’omicidio Moro

di Michel Emi Maritato -


Non è più tempo di suggestioni, ipotesi o reticenze. Aldo Moro, Roberto Calvi, Mino Pecorelli, Carlo Alberto dalla Chiesa. Uomini diversi, morti diverse, stesso mandante. Una sola mano ha firmato i loro omicidi: quella che si cela dietro il patto tra logge internazionali, mafia, finanza vaticana, servizi deviati italiani e interessi americani. Dietro la facciata degli “anni di piombo”, si muoveva un progetto molto più sottile: espropriare l’Italia della sua sovranità monetaria, politica e istituzionale, imponendole il modello della Modern Money Mechanics, la dottrina neoliberista americana fondata sull’espansione del debito pubblico e sul controllo privato della moneta da parte delle banche centrali. Il passaggio cruciale?

Lo spostamento del potere di emissione dalla Zecca dello Stato alla Banca d’Italia, poi formalmente “indipendente”, ma in realtà strumento dell’élite bancaria privata, in mano a stakeholder internazionali con quartier generale a Washington, New York e Londra.

Aldo Moro, con la sua politica estera autonoma, il suo avvicinamento all’OLP, la volontà di integrare il PCI e di mantenere il controllo monetario dello Stato, rappresentava una minaccia diretta. Come emerge dalle sue lettere dalla prigionia, Moro denunciava l’intransigenza del suo stesso partito e chiamava in causa i protagonisti della diplomazia parallela: Giovannone, Miceli, Andreotti, Pennacchini. Ma il vero peccato fu opporsi al passaggio della sovranità monetaria. La Zecca doveva restare pubblica, sotto controllo nazionale. Moro voleva preservare l’Italia dalle mani della finanza privata. Per questo sarebbe stato eliminato. Con il consenso, diretto o indiretto, di chi obbediva agli interessi USA e NATO.

Roberto Calvi era il custode dei conti. Conosceva le triangolazioni di denaro tra IOR, America Latina, mafia e Vaticano. Sapeva dei fondi neri della P2, della protezione finanziaria alla DC, del finanziamento occulto alla lotta anticomunista. Quando minacciò di parlare, fu ucciso. L’esecuzione porta la firma della mafia, ma la regia fu di più ampio respiro: l’ordine sarebbe partito da chi temeva che Calvi rivelasse l’architettura del nuovo ordine economico costruito sulle rovine della sovranità italiana.

Il nome che ricorre sempre, in tutte le indagini e i documenti desecretati, è Gaetano Badalamenti, boss di Cosa Nostra e partner operativo di Licio Gelli. Gestiva i flussi di denaro, gli omicidi mirati, le connessioni internazionali. Fu lui a “chiudere” il dossier Calvi. Ma fu anche l’anello mafioso del progetto Gladio-USA: mantenere l’Italia instabile, terrorizzata, vulnerabile, pronta per essere “normalizzata”.

Mino Pecorelli, giornalista d’inchiesta, che stava per pubblicare i documenti su Gladio, sulla loggia P2 e sulla natura privata della Banca d’Italia, venne eliminato nel 1979. Il suo omicidio porta la firma della mafia, ma fu ordinato da apparati deviati dello Stato dell’epoca e coperto politicamente.
Carlo Alberto dalla Chiesa, invece, stava ricostruendo l’intero mosaico. Aveva collegato la strategia della tensione con la trama economico-finanziaria internazionale. Chiese “poteri speciali”, fu lasciato solo, poi ucciso in un agguato mafioso a Palermo. Il suo omicidio, come quello di Calvi e Pecorelli, convergeva nella protezione dell’architettura occulta del nuovo sistema di potere.

L’Italia non è stata conquistata con le bombe. È stata svenduta con il debito pubblico, con la privatizzazione della moneta, con la rinuncia alla propria indipendenza. Una sola mano ha operato: quella dell’élite globale che, attraverso la massoneria (P2), i servizi segreti deviati dell’epoca, la mafia (Badalamenti) e la finanza (Marcinkus e Gelli), ha eliminato fisicamente ogni oppositore al nuovo ordine: quello della moneta-debito. Ora lo sappiamo. Ora abbiamo i nomi. Ora vogliamo la verità.


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