Politica

PRIMA PAGINA – Le Europee i leader e la guerra del terzo mandato

di Domenico Pecile -


L’obiettivo è di non gettare altra benzina sul fuoco della maggioranza dopo gli attriti con la Lega sugli agricoltori. Tuttavia, è impossibile che il niet di Giorgia Meloni al terzo mandato dei governatori possa essere accettato supinamente da Matteo Salvini. Che non ha alcuna intenzione di farsi sfilare il Veneto dove il governatore Luca Zaia ha un seguito quasi bulgaro (76,79% nel 2022). “Fratelli d’Italia si scordi il Veneto. Mai cederemo la candidatura”, ha mandato a dire la Lega.
“Senza peccare di immodestia, noi FdI possiamo giocare tutte le partite. Zaia è stato un ottimo governatore. Un’alternanza potrebbe essere possibile perché nessuno è eterno, nemmeno lui” è stata la replica tranchant di Luca Ciriani, ministro per i rapporti con il Parlamento, mentre il premier non alimenta ulteriori tensioni.
Fdi si appella poi alla coerenza. E ricorda che il patto con Salvini era l’abolizione del limite ai mandati per i sindaci dei piccoli Comuni in cambio dell’impegno a non riproporre la questione per i sindaci delle città con oltre 15 mila abitanti e per i presidenti di Regione. Per Salvini, che ha indicato nel Veneto (ma è chiaro che anche Fvg e Lombardia guidati rispettivamente da Fedriga c’entrano, eccome) la linea del Piave, è una bruttissima gatta da pelare per Salvini. Che arriva, tra l’altro, a ridosso delle europee che non gli fa dormire sonni tranquilli.
L’obiettivo di raggiungere il 10% dei voti e soprattutto di evitare il sorpasso elettorale da parte di Forza Italia è una partita che potrebbe avere anche conseguenze interne al partito. Il gruppo dirigente leghista è da tempo blindato da un Salvini che ha saputo circondarsi dei suoi pretoriani. Nemmeno un congresso – ma Fedriga, che tra l’altro piace molto a Meloni, resta in pole position – in questo momento lo farebbe vacillare. E non a caso potrebbe e decidere per le assise prima delle europee per trincerarsi ulteriormente in vista di possibili attacchi interni.
Ma di fronte a un’eventuale sconfitta alle europee una riflessione politica a tutto tondo sarebbe inevitabile. Ed è a quel punto che Salvini dovrebbe giustificare il suo eccessivo movimentismo e il suo prediligere la versione in felpa che in giacca e cravatta: l’alleanza con le destre estreme europee, i tanti ostacoli – l’ultimo sulla questione degli agricoltori – messi sul cammino del governo, la candidatura (non ancora decisa) del generale Vannacci che sta creando molte tensioni interne, il distacco con cui Salvini tratta molti degli ex leader del Carroccio, in primis Bossi al quale – dicono – si rifiuta di rispondere al telefono, una certa ambiguità con il regime di Putin, il fallimento elettorale al Sud.
Già, il Sud è un’altra variabile impazzita di questa complicata vigilia elettorale. Dopo il no al reddito di cittadinanza e lo stop al bonus 110%, fa i conti anche con l’autonomia differenziata.
A dare fuoco alle polveri contro “la prepotenza del Nord” è il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, in versione Masaniello. Disposto a tutto (anche al turpiloquio contro il premier) pur di contrastare la riforma. Si è presentato a Roma contro il blocco del fondo Sviluppo e Coesione e al cordone della polizia di fronte a palazzo Madama ha tuonato “Ci dovete caricare, ci dovete uccidere”.
Ma non è solo il governo a doversi preoccupare del Sud (la protesta potrebbe estendersi alla Puglia di Emiliano) ma anche Elly Schlein, i cui rapporti con De Luca sono eufemisticamente tesi e si giocano anche qui in prospettiva regionale.
Intanto, nemmeno la segretaria del Pd può fallire alle europee (punta al 20%) pena la messa in discussione della sua segreteria già sotto attacco dai gruppi moderati e cattolici che accusano la svolta a sinistra del partito. E a differenza di Salvini, Schlein può contare soltanto su una ristretta cerchia di fedelissimi. Pronti, nel caso, a fare armi e bagagli nella migliore tradizione dem.


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