Esteri

Le isole del Pacifico, un altro fronte dello scontro Usa – Cina

di Alessio Postiglione -


Fiji, Micronesia, atolli. Mari cristallini e isole esotiche, ignote ai più, o associate alle vacanze, rivestono un ruolo strategico nel confronto sinoamericano nell’Indo-pacifico.

Il recente viaggio di 10 giorni che il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha svolto a queste latitudini, mentre Biden atterrava in Corea del Sud e Giappone, ne sottolinea l’importanza. Il Sud Pacifico è lo scacchiere dove si gioca la partita: è un immenso specchio d’acqua che si estende al di là del Mar Cinese meridionale, altra area difficile, dove la Cina ha dispute territoriali in essere praticamente con ogni Stato frontaliero, e che riguardano non solo Taiwan, ma stretti fondamentali per i passaggi delle merci della Via della Seta, come Malacca, Sonda e Lombok. Il Sud Pacifico è storicamente parte della sfera angloamericana. Prima come Commonwealth britannico, poi con i territori di amministrazione fiduciaria, infine, dopo la decolonizzazione, quando molte isole non sono diventati veri e propri Stati, ma dipendenze o territori dallo status ibrido, comunque rimasti nella disponibilità dei principali attori statuali dello scacchiere: Stati Uniti, Nuova Zelanda, Australia e Regno Unito. Le tante isole che punteggiano questo mare sono fondamentali per blindare aree di interesse geopolitico. Washington si proietta nel Pacifico attraverso le Isole Kiribati, Samoa, l’Isola di Wake. Gli Stati Uniti hanno una base navale strategica a Guam, e mantengono altre strutture militari in Micronesia, Isole Marshall e a Palau, territori con i quali hanno sottoscritto un Patto di libera associazione – cosa che gli conferisce diritti operativi militari sullo spazio aereo e sulle acque di queste nazioni. Gli Usa possiedono strutture militari strategiche anche nelle Filippine (il mese scorso c’è stata la più grande esercitazione dal 2015, con 8.900 militari), in Giappone, Corea del Sud (dove sono di stanza circa 20 mila soldati americani): e, ancora, Singapore, Thailandia, Australia (a Glyde Point), oltre alle Hawaii, che, almeno, sono uno Stato americano.

Attraverso questo ‘cordone sanitario’, Washington isola Pechino e protegge il Pacifico e il suo territorio da attacchi anfibi. Il crescente ruolo della Cina, però, ha portato il governo comunista a cercare di allargare il proprio “cortile”, e il recente viaggio di Wang va in questa direzione. Se la Cina ottenesse diritti di basi militari, potrebbe schierare temporaneamente navi da guerra e aerei sulle isole, minacciando il primato americano. Di recente, molte cose sono cambiate. Taiwan ora è formalmente riconosciuta solo da quattro delle 14 nazioni del Pacifico meridionale, dopo che le Isole Salomone e Kiribati hanno allacciato rapporti con Pechino nel 2019.

La Cina ha sostenuto progetti in alcuni Paesi – uno stadio per ospitare i Giochi del Pacifico nelle Isole Salomone, autostrade in Papua Nuova Guinea, ponti nelle Fiji – ed ha accresciuto il suo ruolo economico, prodromico – spera Pechino -, in un rovesciamento delle alleanze. Il recente accordo fra Cina e le Isole Salomone, parte del Commonwealth britannico, dimostra la nuova strategia di Pechino e la permeabilità di questi microstati a cambiare la propria postura. La strategia americana è, anche in questo caso, imperniata sull’esportazione di democrazia e capitalismo. La settimana scorsa, infatti, Joe Biden, in visita dal primo ministro neozelandese, Jacinda Ardern, ha espresso preoccupazione per “l’istituzione di una presenza militare persistente nel Pacifico da parte di uno Stato che non condivide i nostri valori”. Basteranno i valori per non perdere terreno? Nell’ambito di quel viaggio diplomatico, il presidente americano ha sottoscritto a Tokyo l’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (Ipef) con Australia, Brunei, India, Indonesia, Giappone, Repubblica di Corea, Malesia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam. Ma la porosità di queste isole non può assicurare gli Usa circa un riposizionamento di questi attori al fianco di Pechino.


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