Editoriale

L’EDITORIALE – La scoperta dell’acca calda: erano belli i tempi di Luciano Violante…

di Tommaso Cerno -


Erano belli i tempi di Luciano Violante, forse la sintesi a distanza di tempo meglio riuscita, di una sinistra che aveva letto i libri e che sapeva in che Italia viviamo. Mentre ci troviamo oggi di fronte a una classe dirigente che senza avere un’idea del mondo, alleata del peggior capitalismo di sempre, scava solo nel secolo scorso e cerca nel nostalgico mondo di una destra che non esiste più, o meglio che è sempre esistita ma non ha spaventato la solita Repubblica Italiana, le ragioni per contrastare questo governo.

Ed è proprio questo limite culturale e ipocrita che rende oggi il PD incapace di sostituirsi a questo centrodestra alla guida del Paese. Ma è troppo forte la tentazione della sintesi, della scorciatoia, della sicumera che sono le tre eredità di una sinistra di governo che non ha mai vinto le elezioni per ritrovarci invece in un mondo in cui i progressisti hanno preso il mare nella reale situazione dell’Italia nel contemporaneo, per dirci che la morte di due ragazzi per una democrazia è qualcosa che non ha nulla a che vedere con le ragioni per cui l’opposizione oggi ha il dovere prima ancora che il diritto di criticare chi guida lo Stato. Eppure anche nella vigilia delle più difficili elezioni europee degli ultimi decenni l’armata di Elly Schlein ha messo sul grammofono il disco delle grandi occasioni. Convinta di sfidare Benito Mussolini e di avere pure l’appoggio di Giolitti. In una sinistra celebrativa di sé che non convince il Paese e che è bravissima sul campo a tirare la palla in tribuna.

Quando invece c’è un popolo là fuori che vorrebbe sentirsi in partita, avere un’idea del mondo che riesce ad andare al di là di omicidi e attentati che hanno segnato la storia di questo Paese e di cui si è detto è scritto tutto, fino allo sfinimento. Evidentemente all’insaputa dell’attuale classe dirigente progressista, che è stata la guida di un Paese in questi anni che ha tentato di cambiare e migliorare senza riuscirci. E che oggi si ripropone esattamente identico a quello che loro hanno lasciato, hanno visto cento volte, senza l’interesse di occuparsene perché in altre faccende affaccendati. Evidentemente è il tempo libero quello che rende questa opposizione così annacquata. Il fatto di non riuscire a capire quale Italia davvero potrebbe candidarsi ad essere alternativa a questa, fino ad utilizzare due morti omicidi per cercare di togliere qualche “zero virgola” al presidente del Consiglio che con la strage di Acca Larentia non c’entra un fico secco.

E che se ha qualcosa di buono dal punto di vista della necessaria pacificazione che in Italia ritarda ormai da oltre 80 anni è proprio quello di fare emergere con questa potenza episodi a cui il Paese è abituato e che non sono mai stati in qualche modo al centro del dibattito pubblico. Sarebbe stato bello ascoltare un Parlamento che entrava nel merito di questa incapacità dell’Italia di lasciarsi alle spalle una storia che tutti condannano, arginando a parti limitrofe della democrazia coloro che fanno della morte di due giovani l’emblema di una sovranità estinta per puro spirito di contestazione. Siamo lontani da una democrazia matura, per quanto continuiamo a celebrare la Costituzione e la sua capacità catartica. Dovremmo dirci con molta franchezza che il nostro percorso dentro lo Stato moderno, nato dopo la Seconda guerra mondiale è incompiuto e che ci manca un grande passo culturale per poterci dire davvero fuori da quei momenti della storia che qualcuno rivendica, qualcuno nega ma che di fatto non appartengono alla cultura italiana né tanto meno alla contemporaneità di un Paese alla ricerca di un futuro.

Fa abbastanza tristezza vedere i saluti romani, ne fa altrettanta vedere l’utilizzo strumentale che qualcuno ne fa solo per ragioni elettorali, tra l’altro senza ottenere alcun vantaggio nei sondaggi né nella società civile, che ha ben presente le questioni dell’oggi e sa quanto esse siano distanti dai sentimenti atavici che possono alimentare le manifestazioni di parte e di nicchia che da sempre connotano un’Italia che ha scelto dopo la Seconda Guerra di uscire velocemente dal fascismo lasciando sotto il tappeto tante domande e tante questioni aperte. Un vero democratico dovrebbe ringraziare la destra di rendersi in qualche modo protagonista di rievocazioni storiche che portano finalmente all’attenzione dell’opinione pubblica non tanto le manifestazioni o i singoli partecipanti quanto la mancanza di capacità analitica e di digestione culturale che l’Italia repubblicana ha avuto in questi decenni.

Ritrovandosi a distanza di quasi un secolo dai fatti di fronte a domande a cui ha preferito non rispondere nell’idea che comunque il mondo vada avanti fino a quando a qualcuno non conviene fermare il film e stabilire che il tempo in cui viviamo in qualche modo non è quel 2024 che ci pone come questioni la transizione energetica, il cambiamento climatico, la globalizzazione incompiuta, il mondo che si sta dividendo di nuovo in due grandi blocchi culturali e di potere, ma piuttosto la rievocazione storica più o meno funzionale all’interesse politico di qualcuno di eventi che hanno in comune con la comunità italiana la morte nel nome di qualcosa che la storia ha cancellato.


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