Attualità

LIBERALMENTE CORRETTO – La burocrazia ingessante e ingessata

di Michele Gelardi -


La burocrazia, mentre imbriglia l’iniziativa dei privati, imbriglia se stessa. E lo fa in virtù del medesimo principio guida: la diffidenza generalizzata. Esercita diffidenza nei confronti del cittadino controllato, sottoposto a mille adempimenti, pareri di conformità e autorizzazioni preventive, ma ne esprime altrettanta nelle sue procedure di spesa, cosicché il flusso delle risorse pubbliche si incaglia sempre da qualche parte. L’amministrazione pubblica è il pianeta della diffidenza, dove vige la presunzione di mala fede in tutti i rapporti nei quali è in gioco un beneficio purché sia, economico o anche permissivo-autorizzativo. Ne discende l’estrema rigidità delle regole, la quale paralizza l’azione amministrativa e rende inefficiente la spesa pubblica.

Nel tempo, i meccanismi interni dell’apparato sono divenuti ancora più rigidi, con il passaggio dalla prima alla seconda repubblica, giacché il neogiacobinismo italico, dopo aver abbattuto i partiti tradizionali, ha voluto imbrigliare ulteriormente l’attività amministrativa in funzione “anticorruttiva”, affidata a più severi parametri e stringenti vincoli cartolari per i programmi di spesa, chiamati “controlli”, ma sostanzialmente “ostacoli”. Il vero e più efficace controllo riguarda infatti il risultato della spesa, espresso nel bilancio consuntivo costi-benefici, ma in Italia nessuno se ne cura; non è importante il punto di arrivo, bensì il punto di partenza. Il principio è esattamente opposto a quello dell’accountability del mondo anglosassone, dove la spesa pubblica è controllata soprattutto dal cittadino-elettore, sulla base del bilancio (consuntivo) particolareggiato e dettagliato, relativo a ogni singola voce di spesa.
In Italia vige il criterio opposto: il dettaglio, fin troppo minuzioso, riguarda i capitoli di spesa del bilancio preventivo, mentre il cittadino elettore si deve accontentare di un bilancio consuntivo, formulato per grandi aggregati, all’interno dei quali la singola partita si dissolve nell’indeterminatezza e nell’oscurità.

E mentre latita la trasparenza, per la genericità del consuntivo, fiorisce l’inefficienza per l’eccessiva frammentazione del preventivo. Se, infatti, la spesa pubblica non è prevista per il capitolo delle “forniture per cucina” o delle “stoviglie”, bensì per i singoli capitoli di “forchette”, “cucchiai”, “coltelli”, il burocrate che disponesse l’acquisto di forchette, al posto di cucchiai, si esporrebbe all’accusa di peculato per distrazione; per non correre il rischio, evita del tutto di commissionare la fornitura. Un altro grande ostacolo al flusso della spesa pubblica è stato introdotto dal decreto legislativo n. 118 del 2011. La grande trovata è stata quella di rendere automaticamente indisponibili le somme inutilizzate nell’anno solare, ancorché già impegnate. Ciò significa che un programma di spesa già in corso deve essere interrotto bruscamente e, se si vuole portarlo a compimento, è necessario ricominciare da capo.

Ovviamente, occorrono almeno sei mesi, per ripristinare il capitolo di spesa e disporre dei fondi, utilizzabili nei rimanenti sei; non è difficile pronosticare l’impossibilità o l’incapacità di fare in sei mesi ciò che non è stato fatto in dodici. Al tirar delle somme, la seconda repubblica ha reso ancora più complesso e contorto l’iter della spesa pubblica, immettendo, all’interno della pubblica amministrazione, una dose aggiuntiva di diffidenza, che frena e inceppa i meccanismi decisionali. I quali, peraltro, sono già rallentati di per sé, dal proverbiale ”indecisionismo” burocratico, noto a tutto il mondo, meno che ai grandi riformatori della seconda repubblica, i quali hanno voluto beneficiare i burocrati del potere (autonomo) di comando. Nella prima, l’organo politico sedeva al vertice dell’apparato e firmava i provvedimenti; nella seconda, si limita a “indirizzare”; ma il burocrate “indirizzato” non ha alcuna voglia di firmare. La combinazione di questi fattori è una palla al piede dell’Italia, molto più grande dell’occasionale colpa omissiva degli incapaci Tizio e Caio, della fazione politica avversa (mai della propria).


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