Attualità

LIBERALMENTE CORRETTO – Burocrazia difensiva e paura della firma

di Michele Gelardi -


Illustri studiosi hanno scoperto recentemente il fenomeno della “burocrazia difensiva”. Con questa denominazione si designa la scarsa attitudine del vertice burocratico a rischiare di decidere alcunché e prendere i provvedimenti conseguenti. Al comune cittadino, ignaro delle dotte teorie del diritto amministrativo, questa ritrosia alla decisione viene narrata dai media con la formula della “paura della firma”, attribuita però alla persona sbagliata: all’organo politico, piuttosto che al vertice burocratico. Da un lato, gli studiosi parlano a ragion veduta di un fenomeno tutto interno all’apparato burocratico e tuttavia omettono, a torto, di evidenziarne le cause politiche; dall’altro, il distratto osservatore “medio” pensa di avere individuato la responsabilità politica dell’ignavia burocratica e tuttavia sbaglia nell’individuare la mano tremula che non vuole firmare. Insomma sbagliano gli uni per omissione, l’altro per fraintendimento dei reali rapporti politica-burocrazia. È convinzione comune che la politica abbia la responsabilità di decidere i provvedimenti amministrativi, ma non è più così da lunga pezza; i rapporti sono cambiati: oggi la decisione non appartiene all’organo politico, bensì al funzionario che siede al vertice della piramide gerarchica dell’apparato burocratico ed è titolare del potere di firma. Oggi la politica non comanda, ma indirizza; al contempo la burocrazia “indirizzata” non è subordinata alla politica, giacché decide da sé. Ed è proprio questa la causa prima della c.d. “burocrazia difensiva”.
In verità, la burocrazia lasciata a se stessa non può che essere difensiva, per sue intrinseche caratteristiche; cosicché la recente scoperta dell’”acqua calda”, da parte di coloro che hanno teorizzato la necessità di confinare l’organo politico nel recinto della competenza d’indirizzo, lasciando al burocrate il potere di firma, dovrebbe essere commentata con la famosa frase “chi è causa del suo male pianga se stesso”. Gli atti del burocrate sono necessariamente prefigurati, nella forma e nel contenuto, ripetitivi e spersonalizzati, cosicché non devono recare alcuna traccia di novità e iniziativa personale. Il burocrate ripete all’infinito la strada già percorsa e non se ne può allontanare, dovendo compiere atti tipici, circoscritti precisamente entro uno schema previsto e sperimentato; non a caso utilizza, molto spesso, modelli cartacei prestampati e li compila metodicamente senza orpelli aggiuntivi. Egli non può autorizzare Cristoforo Colombo a scoprire l’America, per il semplice fatto che l’America non è ancora conosciuta. Il paradosso ci fa intendere che il burocrate rifugge da qualsivoglia novità, per i caratteri intrinseci della sua attività. Al contempo, egli detesta anche il minimo rischio, sia perché non ha nulla da guadagnare dall’assunzione del rischio, sia perché non agisce intuitu personae. Non può stabilire rapporti fiduciari con i destinatari dei suoi atti; deve diffidare di tutti e disporsi, nei confronti del richiedente, al rifiuto tendenziale, per non correre il rischio di favoritismi. In breve, l’attività burocratica non può che essere “difensiva”, per la sua stessa natura tipologica e impersonale.
L’unica strada per vincere l’atteggiamento difensivo del burocrate è quella di ripristinare il primato della politica, conferendo il potere di firma all’organo politico posto al vertice dell’apparato. L’autorevolezza della politica non garantisce sic et simpliciter la necessaria tempestività dei provvedimenti ammnistrativi, ma ne crea le premesse, poiché il politico, alla ricerca del consenso elettorale, ha una voglia sicuramente superiore a quella del burocrate di ornarsi di “onore e gloria”; ed è anche, a mio avviso, una condizione essenziale per dare senso compiuto alla sovranità del popolo, la quale postula sia la coerenza degli atti di amministrazione ai programmi, per i quali la maggioranza ha conseguito il consenso elettorale, sia la correlativa, trasparente attribuzione di responsabilità.


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