Economia

Liberalmente corretto: Quella stamperia che chiamano Bce

di Michele Gelardi -


La signora Lagarde si è “allargata”, però la si può comprendere, divenuta padrona assoluta e incontrollata di una grande stamperia di carta moneta, chiamata BCE, è caduta in delirio. Ha confuso immagine e immaginato; ha pensato che la rappresentazione grafica prenda il posto del valore rappresentato, cosicché la carta e la ricchezza sottostante siano la stessa cosa; ed essendo una produttrice monopolistica di carta, ha pensato di essere la creatrice della ricchezza. Ne ha dedotto che la sua onnipotenza si debba estendere fin dentro la politica fiscale degli Stati. In verità la sua deduzione è errata, tuttavia bisogna riconoscere che il sistema giuridico europeo di emissione della moneta è ingannevole di per sé.

La BCE è l’unica stamperia al mondo, che sfugge, non solo a qualunque controllo, ma perfino al benché minimo condizionamento politico; e per di più non è vincolata ad alcun tipo di garanzia e regola di trasparenza. Le altre stamperie, al di fuori dell’eurozona, sono gestite direttamente o controllate o almeno condizionate dai governi nazionali; o sono tenute a stampare in relazione alle garanzie che sono in grado di offrire. Nulla di tutto questo turba la quiete olimpica della signora Lagarde, immune da qualsivoglia responsabilità assieme alla sua corte di gnomi. È perfino proibito darle suggerimenti e consigli, dal momento che l’art. 7 del protocollo sul Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) dispone che, conformemente all’art 107 del Trattato di Maastricht, “né la BCE, né una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzione dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i Governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti”.

È superfluo aggiungere che nessun deposito in oro garantisce la carta moneta prodotta ad libitum dalla stamperia. E pare che nemmeno il decorso del tempo sia vincolante per la BCE. Le banconote, stampate in una pluralità di anni, risultano registrate e marchiate tutte nello stesso anno. Il tempo si è fermato nel momento in cui il capo-stampante ha deciso di farlo fermare. Così le banconote da 5 euro risultano ufficialmente stampate tutte nel 2013, da 10 euro tutte nel 2014, da 20 nel 2015; e coì via. E cosa ancora più sorprendente: le banconote risultano firmate dalla signora Lagarde, al di fuori del limite temporale del suo mandato, che ha avuto inizio anni dopo. Ciò che è stato stampato – poniamo – nell’anno domini 2021 (regnante Lagarde) ha un marchio, una specie di copyright depositato una tantum, recante l’augusto autografo del dominus di quell’anno, ma recante al contempo l’indicazione predeterminata e fissa di un’annualità diversa. Insomma, in questa stamperia chiamata BCE, non vige alcuna regola di responsabilità temporale, che è la base di ogni possibile trasparenza amministrativa. Parrebbe d’altronde che perfino i numeri delle banconote proteggano il mistero delle segrete stanze e con esso l’arbitrio istituzionale; non essendo sequenziali, risulterebbero indecifrabili. Nessuno può sapere quante banconote siano state stampate nell’anno e valutare, per puro diletto, la responsabilità dell’organo pro tempore.

È comprensibile dunque che il capo-stamperia, issato su uno scranno così alto da essere sottratto a qualsiasi sguardo indiscreto, prenda tanto gusto all’autocrazia, da presumersi dominus anche del flusso fiscale che alimenta la stamperia. E presumendo, presumendo, la signora Lagarde ha ritenuto di dover censurare la scelta del governo italiano di tassare gli “extraprofitti” delle banche. In verità, si può osservare – nel merito – che non è compito, né del governo, né di chicchessia, stabilire cosa sia “extra”; e risulta ancor meno accettabile l’imposizione fiscale sul presunto “extra”, calcolato retroattivamente. Detto questo, non è assolutamente tollerabile, tuttavia, che il governo italiano subisca, in casa propria, la “lezione” di un soggetto istituzionalmente incompetente. Insomma, sarebbe meglio che la signora Lagarde, a capo della più opaca delle istituzioni europee, si astenesse dal commentare la politica fiscale degli Stati membri, andando fuori dal seminato. Farebbe meglio a restringersi, piuttosto che allargarsi. Ma i media italiani, proni e subalterni, idolatrano la signora Lagarde, riconoscendole perfino il diritto di “bocciare” le scelte del governo italiano. A quale titolo non si sa. Chissà cosa avrebbero detto i media francesi e tedeschi in circostanze simili.


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