L’ipotesi leva obbligatoria e l’obiezione di coscienza
Per anni ci hanno rassicurato con una favola pedagogica: l’Unione europea come vaccino definitivo contro la guerra. Una sorta di siero istituzionale capace di neutralizzare per sempre il virus del conflitto, che nel Novecento aveva contagiato l’Europa a intervalli regolari. Il messaggio era un lenitivo per ataviche paure: l’Europa unita ci proteggerà, ci preserverà, ci garantirà una perpetua pace kantiana.
Poi, quasi inavvertitamente, dopo il 2022 e lo scoppio del conflitto russo-ucraino, i direttori d’orchestra hanno cambiato la musica. E gli stessi interpreti che prima si avvolgevano in vessilli arcobaleno ora ci ammoniscono: vis pacem, para bellum. Così gli obiettivi dell’Europa — venduta per decenni come sinonimo di pace — somigliano sempre più ad ossimori come “pace guerreggiata” o “guerra pacificante”. Tu chiamale, se vuoi, dissonanze cognitive.
Ad ogni buon conto, establishment e mainstream sono passati all’azione con passi lenti e ben felpati; in ossequio al famoso teorema della “rana bollita” di Noam Chomsky (che, a differenza di un pollo, va cucinata viva e per gradi, onde non farla accorgere del suo incandescente destino). Si ricomincia così a parlare di “difesa comune”, poi di “esigenze strategiche”, quindi di “minacce esterne” (il tirannico zar e il suo esercito di Unni alle porte), e infine eccoti squadernato un vecchio arnese del Novecento che pensavamo di aver relegato nei ripostigli della Storia: la leva.
Il 15 maggio 2024 l’onorevole Eugenio Zoffili, esponente della Lega, ha presentato presso la Camera dei Deputati un disegno di legge denominato “Istituzione del servizio militare e civile universale territoriale e delega al Governo per la sua disciplina”, ove si contempla la reintroduzione dell’obbligo di leva dopo due decenni dalla sua sospensione. È vero che il progetto, per ora, declina l’obbligo su due binari (militare e civile), ma è altrettanto vero che da più parti, in Europa e in Italia, c’è chi invoca un ripristino del servizio militare obbligatorio tout court.
Durante l’audizione parlamentare sul Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa 2025–2027, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha sottolineato la necessità di superare la legge 244 del 2012 — che limita l’organico delle Forze armate — e di aumentare quantitativamente e qualitativamente il personale, anche introducendo competenze specialistiche provenienti dal mercato civile.
Ma a questo punto dobbiamo parlarci chiaro. E soprattutto i giovani potenzialmente destinatari di un nuovo reclutamento coatto (quelli compresi nella fascia 18-26 anni) dovrebbero seriamente chiedersi: nel caso venisse davvero ripristinata la leva militare obbligatoria, e noi non volessimo arruolarci, men che meno combattere, per motivi ideali, morali o religiosi? Si chiama obiezione di coscienza.
L’obiezione di coscienza, cioè il diritto a rifiutare il servizio militare per motivi morali o religiosi, era riconosciuta come diritto soggettivo dalla legge n. 230 dell’8 luglio 1998, che riformava la normativa del 1972 e regolava il servizio civile sostitutivo. Con la sospensione della leva obbligatoria nel 2005 e la parziale abrogazione della legge 230/1998 ad opera del D. Lgs. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare), oggi non esiste più una disciplina unitaria dell’obiezione: essa sopravvive solo in forma residuale nel Codice e nel Servizio Civile Universale (D. Lgs. 40/2017), un istituto distinto e volontario.
L’art. 2097 del D. Lgs. 66/2010 si applica solo in casi eccezionali, come guerre o gravi crisi internazionali, e non garantisce più un diritto pieno e immediatamente esercitabile in tempo di pace.
E qui arriva il punto che forse fa più paura ai feticisti dell’elmetto. Perché, se oggi davvero si reintroducesse una forma di leva obbligatoria, potremmo scoprire che esiste una platea immensa di obiettori insofferenti all’idea di maneggiare un’arma. Per non parlare della “disponibilità” a immolare la propria vita per una “patria” (l’Europa) che non è mai esistita, neanche nei termini para-emotivi e pseudo-identitari che hanno storicamente irrorato di retorica bellicistica gli eserciti nazionali. Ma a quei tempi, quantomeno, c’erano delle vere Nazioni.
Ergo, e per concludere: se davvero l’orizzonte è quello paventato e si punta a un modello di coscrizione generalizzata, allora va posto all’ordine del giorno anche il tema dell’obiezione di coscienza. Parliamo del diritto pieno, sancito solo alla fine degli anni Novanta, di opporsi senza se e senza ma alle nuove sirene in tuta mimetica. Dobbiamo permettere ai nostri giovani riottosi di poter mettere un NO, di coscienza, nei loro cannoni.
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