Politica

L’Italia del premier eletto: Meloni progetta la 3ª Repubblica

di Domenico Pecile -


Avanti tutta sul premierato. Domani il testo in cinque articoli sarà sottoposto al Consiglio dei ministri. Per Giorgia Meloni si tratta della pietra miliare che farà approdare l’Italia alla Terza Repubblica. L’opposizione è in rivolta, ma qualche inevitabile male di pancia c’è anche all’interno della maggioranza. Ma, come detto, Meloni non transige. Per lei, il testo della ministra Elisabetta Casellati destinato a cambiare la Carta costituzionale, rappresenta un obiettivo imprescindibile e per questo punta dritto all’elezione popolare diretta del presidente del Consiglio dei ministri. Inoltre, la norma metterà fine anche alla nomina dei senatori a vita, carica che sarà riconosciuta soltanto per i presidenti emeriti della Repubblica.
La strada che conduce al premierato (o “sindaco d’Italia” come lo aveva definito Renzi che non nega la possibilità di votare a favore) è tutt’altro che in discesa.

Tuttavia, Meloni fiuta il momento perché è consapevole che mai come adesso il momento è propizio, se non addirittura maturo, per incassare non soltanto i voti necessari in Parlamento (oltre a Italia viva ci potrebbero essere anche altre importanti adesioni e non soltanto dai centristi) ma anche e soprattutto dall’opinione pubblica. Questo soprattutto se si fa riferimento alla stabilità di governo. Non a caso una delle norme più controverse è quella anti-ribaltone. Nel caso infatti che il premier venisse sfiduciato il capo dello stato potrà conferire l’incarico di formare il nuovo esecutivo al presidente del consiglio dimissionario o “a un altro parlamentare eletto in collegamento al presidente eletto”. Come dire che ci sarebbe lo stop ai cosiddetti governi tecnici e – stando alla bozza Casellati – il premier incaricato dovrà presentarsi con lo stesso programma e ottenere il voto di fiducia dei parlamentari che sostenevano la maggioranza che aveva vinto le elezioni.
E qui i pareri dei tre principali leader del centro destra devono ancora trovare la quadra. Il giurista Domenico Fisichella, cofondatore di An, si dice più con un premier eletto dai cittadini in contemporanea con il Parlamento: “Insieme stanno, insieme cadono”, è il suo pensiero. Nonostante i distinguo, all’interno del centrodestra si fa voti di grande ottimismo. Le opposizioni gridano allo scandalo perché affermano che il tipo di premierato che si intravede rischia di comprimere se non di mortificare la funzione del Parlamento e l’autonomia del potere legislativo.


La replica del vice premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, è stata tranchant. “Sul presidenzialismo – ha riferito in un’intervista – abbiamo ascoltato le opposizioni, si può discutere, basta non mettere veti. Noi – ha aggiunto – andremo avanti comunque, anche se le opposizioni non sono contente: in una democrazia parlamentare si vota e vince la maggioranza”. Ma il premier Meloni sa di potere contare su un altro, importante sentiment della maggioranza dell’elettorato e non soltanto di centro destra: quello di porre fine ai governi non eletti che sono stati in buona parte all’origine del calo incipiente della diserzione delle urne negli ultimi anni. Saranno infatti gli elettori a scegliere il presidente del Consiglio cosa che avvenne, prima di Meloni, soltanto per Prodi e per Berlusconi.
Insomma, governabilità ed elezione diretta del premier sono due capisaldi – ne è convintissima Meloni – perché la politica possa ricominciare a fare pace con gli elettori. Per il centro sinistra la partita diventa molto difficile. Già si era diviso in occasione del referendum – poi bocciato – proposto dall’ex premier Matteo Renzi. Allora, il centro sinistra aveva dovuto sperimentare una serie di contrapposizioni laceranti che andavano oltre una semplice resa dei conti dello stesso Renzi con la vecchia nomenklatura post comunista. Cicatrici non ancora rimarginate. E adesso la riforma Casellati potrebbe ulteriormente riaprirle.


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