Editoriale

Lo stato etico a sua insaputa

di Tommaso Cerno -


Lo stato etico a sua insaputa. Se l’Italia è patriarcale, e lo sarà anche come tutti i rimasugli dell’Occidente in declino, mentre le grandi fabbriche radicalizzano islamisti con le donne in burka, i fondi arabi si comprano tutto, i Mondiali sono in Qatar e l’Expo a Riad, un alieno, sempre che abbia voglia di atterrare sulla Terra, ci guarderebbe come certi pesci rossi negli acquari . Siamo alla vigilia della rifondazione di uno Stato etico, dove chi uccide una donna anziché essere messo all’ergastolo viene giustificato distribuendo la colpa con milioni di maschi perbene che hanno la colpa di essere in vita, ma poi gli stessi che promuovono questa nuova battaglia culturale per fornire al killer femminicida l’attenuante esimente di fare come fan tutti, chiamiamo integrazione la sfilata di violenza quotidiana sulle donne di comunità davvero patriarcale che, con la scusa di mandare avanti a costi più bassi una fabbrica, definiamo come nuovi cittadini.

E mentre facciamo questo contribuiamo a costruire un impero economico pronto a entrare nel nostro quotidiano di continente in crisi facendoci scivolare addosso comportamenti che la nostra democrazia vieta nel nome dell’uguaglianza, confondendo il diritto con il sopruso. Abbiamo tutti i sintomi di un mondo in declino. E non ce ne rendiamo conto. E se la destra, o come piace dire oggi la destra-destra fatica a trovare un pensiero capace di descrivere davvero ciò che sta avvenendo, la sinistra nel nome dello scontro culturale sta perdendo il bandolo della matassa.

Come si spiega che nel nome di Giulia, una giovane donna italiana assassinata dal suo ex fidanzato che la opprimeva e prometteva di cambiare, ci ritroviamo in piazza a sostenere le parti di una guerra, fra l’altro quelle sbagliate, quelle che ci riconducono a Hamas, un’organizzazione militare, per cui patriarcale per natura intima, islamista, con la conseguente sottomissione della donna come principio religioso e civile, senza che questo comporti la presa d’atto di una lenta fuoriuscita dai cardini liberali del pensiero. Non possiamo, democratici e figlio del secolarismo occidentale, delle costituzioni laiche, immaginare che con la stessa voce si chiami integrazione il Burka che fila nelle piazze di Monfalcone figlio della più deteriore immigrazione a basso costo e patriarcato il tentativo, pur non compiuto, di un Paese come il nostro di superare i limiti che provengono dalla sua storia secolare. Come possiamo anche solo pensare che quello che abbiamo visto altro non sia che l’ennesimo tentativo di sfruttare un fatto di cronaca per fare politichetta.

Il nostro no è a voce alta. Un Occidente così è già spacciato. Perché noi di strada ne dobbiamo fare tanta, ma l’ipocrisia e la menzogna sono proprio la curva dove usciamo per sempre dalla direzione che professiamo. Mi auguro che non siano quelle voci, per nulla libere, ad accusare Filippo Turetta in aula. Per due ragioni opposte. La prima: sono voci ideologiche che devono stare alla larga dai processi e dal tentativo, pur fallace, della giustizia di ricostruire i fatti. La seconda, più utilitaristica: in un Paese dove di femminicidi ce ne sono tanti e di ergastoli pochi, se ci presentiamo dal giudice con quelle tesi, con quella spocchia, con quella sicumera, finisce che il Turetta Filippo viene assolto. E che Giulia muore due volte. Mentre in galera ci va il patriarcato. Ma quello sbagliato.


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